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martedì 10 aprile 2012

Dal FATTO alla NOTIZIA: il percorso nel tempo.

Oggi parlando con un giornalista mi è venuto di pensare quanto uguale e quanto differente è il percorso tra l’avvenimento di un fatto e la diffusione del fatto. 

Da quando è iniziata la storia umana, qualche millennio fa, sino a circa 100 anni fa, cioè all’inizio del ventesimo secolo, la trasmissione era praticamente orale o, in casi fortunati, era opera di uno scrittore che casualmente “era sul posto” e decideva di tramandare la sua esperienza. 

L’elettricità, il telefono ed il telegrafo sono stati gli artefici del primo grande mutamento.
INTERNET e la rete, circa 80 anni dopo, hanno prodotto un ulteriore grande cambiamento.
Proviamo ad esaminare un po più in dettaglio l’iter della notizia e cosa è cambiato. A me sembra che questo iter possa essere esaminato indipendentemente dal fatto che si parli di notizie di eventi “normali” o di eventi speciali, intendendo con l’aggettivo “normale” un fatto che interessa il pubblico, ma non in modo particolarmente importante.
Una notizia nasce, giornalisticamente parlando, quando si verifica un avvenimento che ha aspetti non consueti: la ben nota storia “dell’uomo che morde il cane”. Il giornalista che apprende il fatto, lo descrive, lo invia al giornale, il giornale lo pubblica, il lettore lo legge. Analizziamo ora i vari passaggi per scoprire le differenze tra quello che succedeva cira 40-50 anni fa ed oggi. 

Esistevano, come esistono ora, giornalisti che potremo dire “presenti al fatto” che, come lo storico Montanelli e la sua Lettera22 o gli attuali inviati presenti sul teatro d’azione, scrivono la notizia e la trasmettono. Tra questi due modi di lavorare, legati ovviamente alla pura tecnologia, esistono solo differenti velocità di trasmissione. Montanelli scriveva il pezzo, lo dettava al telefono ad uno stenografo che poi lo passava per la pubblicazione. Il moderno giornalista è più fortunato: scrive il pezzo sul suo PC, si collega via rete e l’articolo è pronto per l’impaginazione.
Seconda tipologia di giornalista, che mi piace di definire stanziale, è quello che riceveva le notizie d’agenzia trasmesse dalla telescrivente, le rimasticava e le passava per la pubblicazione. Ora lo stesso giornalista stanziale riceve le notizie d’agenzia sul proprio PC, opera il minimo di personalizzazione possibile e compone direttamente il pezzo per la stampa.
L’importante differenza, non tra ieri ed oggi, ma tra giornalismo vero e trasmissione di notizie è data dalla qualità dell’interprete della notizia e non dalla velocità e semplicità di trasmissione.
Un pezzo scialbo e sciatto, anche se composto sotto le pallottole che fischiano o mentre è in corso un cataclisma, sarà sempre freddo ed incapace di comunicare emozioni.
Un pezzo che fa rivivere le emozioni del momento, anche se riguarda semplicemente la caduta di un ciclista, riesce a far vedere l’accaduto.
Come conclusione di questa nota mi sembra di poter dire che la qualità di un pezzo giornalistico non è data dai supporti tecnici che ne hanno permesso la produzione, ma dalla capacità umana di comporre l’informazione.
La seconda considerazione riguarda la temuta fine dei giornali cartacei a favore di mezzi di diffusione digitale. Personalmente ritengo sia un falso problema perché mette in primo piano il contenitore rispetto al contenuto. Anni fa esistevano i giornali formato lenzuolo, odorosi di petrolio e che sporcavano mani e camice se letti prima di 6 ore dal momento della stampa fisica. Ora si è arrivati quasi generalmente al formato tabloid, molto più comodo e meno puzzolente di petrolio. Domai, ma un domani molto prossimo, leggeremo i giornali su tablet e simili, forse affaticheremo un po di più gli occhi, ma sicuramente sarà necessario meno spazio per leggerli. La grande differenza, ieri come oggi, sarà data dalle qualità di chi scrive e dalla sua capacità di farci sentire presenti al fatto.
Quasi ovvia mi pare la gattopardesca conclusione: che tutto cambi perché nulla si muti!

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