La notte è profonda, l'aria è immobile, tutto è statico, si
sente solo il respiro affannato di Marta affaticata dallo sforzo di aprire il
grande cancello di ferro battuto.
Marta spinge, spinge, spinge ripetutamente e sente il blocco
della serratura sotto le sue mani nervosamente contratte nello sforzo di aprire
il meccanismo.
Non lontano da lei, ma invisibile c'è suo marito che cerca
di scavalcare il recinto per entrare all'interno della villa superando l'alto
muro di cinta.
E' una notte
terribile, l'unica salvezza per loro è quella di entrare nella villa. La paura
attanaglia la gola di Marta e rende inutili i tentativi di Franco. La salvezza
è dietro quel cancello, nella casa nascosta da magnolie ed abeti. Marta non
vede Franco ma sa che c'è, che è vicino a lei, che è unito a lei dallo stesso
tentativo di salvarsi.
La grande onda nera è vicinissima … si sente, sta arrivando
...Dio mio !
Marta è sdraiata sul letto, è bagnata di sudore e sente un
dolore acutissimo al
braccio destro, cerca di muoversi ma si rende conto di
essere legata e si ricorda di essere in ospedale, e sa di aver avuto un
incidente. La realtà è ancora più inquietante del sogno. Ha freddo, ha bisogno
di urinare. La sera prima le hanno messo un pannolone, lo sente e allora si
abbandona. Il caldo delle urine sulla pancia e sulle cosce le dà una piacevole
sensazione di calore
”Che brutto sogno – pensa – forse più brutto del delirio che
ho avuto dopo il risveglio dall'anestesia cinque giorni fa” …se ricorda bene.
Sono state ore terribili perché una folla di persone sconosciute, vestite in
abiti medioevali, sporche e disordinate s'affannavano intorno al suo letto in
una gara di sorrisi e di gesti; non parlavano ma la spaventavano (consolavano)
con gli sguardi e i gesti mostrando le bocche sdentate. L'unica cosa da fare
era chiudere gli occhi per non vedere, quando tornava ad aprirli le strane
figure si accalcavano di nuovo. Insieme a loro compariva un vecchio tutto
contorto che inveiva urlando. Chiudeva gli occhi per farlo scomparire, ma
inutilmente, all'improvviso ritornava ghignando. Lei gridava allora: “Vai via …
vai via ! Ho paura, chi sei ?”
Marta è in ospedale da una settimana, tutte le sue certezze
sono state sconvolte dalla realtà del presente: un intervento allo stomaco per
la presenza di un tumore.
La ferita è pesante e le blocca il respiro, le braccia sono
martoriate dai prelievi mattutini, è piena di lividi viola ma gli infermieri
ogni mattina feroci e scrupolosi infieriscono senza pietà alla ricerca delle
vene.
“Quando andrò via ? Quando finirà quest'inferno ? “. Si
accorge di piangere silenziosamente; le altre malate nella corsia è come se non
esistessero, ogni letto è un universo a se stante, ogni malata è isolata nel
suo dolore
Passa la caposala ordina all'infermiera: “preparate il 15”. E'
lei! Le fanno sommarie pulizie, le tolgono il pannolone, la lavano rapidamente
e parlano tra di loro. Marta è un oggetto nelle loro mani, si vergogna di
essere sporca e nuda. Dice grazie quando hanno finito, ma non è riconoscente, è
impacciata e sofferente.
Le mani sono ancora legate: “Scioglietemi, sono stanca di
stare nella stessa posizione” l'ascoltano, la slacciano dicendo: “Tra poco
passerà il medico e ti dirà cosa devi fare”. Aggiungono minacciose: “Non ti
alzare per nessun motivo altrimenti dovremo legarti di nuovo!”
Marta è quasi felice, sono andate via, ha un momentaneo
sollievo, sente il profumo del latte che la sua vicina di letto sta bevendo a
lunghe sorsate. Muove lentamente le mani intorpidite e prova il sollievo di
potersi girare, toccare, guardare.
Fuori probabilmente è nuvolo i muri della corsia in ombra
appaiono cupi perché nella stanza c'è poca luce , solo i numeri dei letti 16 17
18 di fronte al suo sono illuminati di rosso.
Prova una sensazione di fastidio. E' stanca, ha bisogno di
riposare, si rannicchia sotto le coperte e con gli occhi chiusi ritorna al
sogno, così tetro, così spaventoso di cui ora le sfuggono i particolari,
continua a pensare a se stessa consapevole che in questi momenti di attesa non
c'è nulla che l'aiuti a sperare.
Sotto le coperte si chiude fra le sue stesse braccia. Deve
scomparire sotto le lenzuola per sentire la sua intimità, per cercare di
seguire i suoi pensieri, il battito del suo cuore, l'alito del suo respiro sul
braccio martoriato. Si nasconde, è stanca, stanchissima, Franco l'ha lasciata sola
senza figli e anziana.
Con gli occhi chiusi si sente meglio, l'isolamento la
conforta. Il suo corpo dolente è nascosto dalle coperte e piano piano si lascia
andare ad una specie di dormiveglia. Il suo riposo è breve interrotto dalla
venuta del medico di turno che la dimette dall'ospedale dove c'è bisogno di
letti.
Perentorio il programma. Le hanno tolto lo stomaco, dovrà abituarsi
ad una dieta liquida per mesi, poi gradatamente inizierà a prendere qualcosa di
più consistente fino a riformare uno stomaco alternativo a quello che le hanno
tolto. Le regole sono ferree, il risultato certo! “dovrà avere molta pazienza e
poi vedrà i riscontri ci saranno.
Potrà vivere per qualche anno, è la sentenza! Lei potrà
ancora coltivare i fiori del suo giardino, vedrà ancora una volta il ritorno
delle rondini al nido costruito sotto il tetto sovrastante la porta della
cucina della villetta dove da sempre vive. Ancora una volta sentirà il
cinguettio dei rondinotti, ancora una volta vedrà il volo irrequieto delle due
rondini che seguendo un repertorio sempre uguale nutriranno tutta l'estate i
nuovi nati. A settembre quando le rondini partiranno per una terra più calda
anche Marta partirà lasciando la sua casa i suoi gerani sfiorire e tutto ciò
che le ha dato la vita per un viaggio senza bagaglio.
Ho pensato più volte a questa mia amica ricordando i nostri
incontri e i racconti dei suoi ultimi mesi di vita . Ho conosciuto ascoltandola
il valore della speranza, c'era in lei una forza, una volontà e una grande
precisione nel seguire le regole impostale dal medico per la ripresa. Erano
regole severe una dieta particolare ed un impegno suo personale a godere delle
amicizie, degli affetti, delle emozioni anche piccolissime di una vita segnata dalla
voglia di farcela dalla voglia di vincere, dalla caparbia volontà di vivere.
Quando parlavamo e ascoltavo la descrizione del suo impegno quotidiano avevo
fiducia anch'io. Mi comunicava le sue certezze o meglio il suo ottimismo.
Quanto è difficile accettare la sconfitta, quanto è impegnativo per l'uomo
l'inevitabile realtà della fine.
Cara Marta penso a te con nostalgia perché è dolce il
ricordo della tua amicizia e grande la stima per il tuo coraggio. Quando passo
davanti alla tua casa non vedo più i gerani fioriti, le finestre aperte mi
dicono che qualcun'altro vive nelle tue stanze. Di certo a primavera torneranno
le rondini ma tu ormai sei lontana per sempre.
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