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domenica 2 marzo 2014

La storia di Roberto (1° parte)

di Teresa Galletti Ranaglia

Erano parecchi giorni che non si sentiva bene, uno strano malessere lo rendeva pigro e nervoso. Ogni mattina avrebbe voluto rimanere a letto tutto il giorno ma poi si alzava e cominciava a girare per casa irrequieto ed inconcludente.
Una mattina si accorse con sorpresa e spavento che qualcosa stava modificando il suo volto. Specchiandosi gli sembrò di vedere la bocca più grande ed il naso ridotto di dimensioni, il suo aristocratico naso sembrava notevolmente più piccolo e la sua bocca era sicuramente molto diversa.

Tutta la mattinata la passò davanti allo specchio, se ne allontanava per poi ritornare a guardarsi perché era ormai convinto che qualcosa di insolito era accaduto. Non era esperto di medicina e di malattie, le sue competenze erano le macchine da costruzione, gru, escavatori , trattori, carrelli ecc. ecc. e non sapeva niente di ciò che riguardava la medicina o la chirurgia. Sapeva soltanto che era sempre stato bene e che aveva avuto una vita tranquilla interrotta soltanto da qualche influenza o mal di testa.
Roberto era un uomo alto e snello con un volto interessante per lo sguardo dolce e leggermente ironico. Era sempre stato sicuro di se ma non ostentava sicurezza e solo raramente, se perdeva la pazienza, si limitava a dare una risposta secca di cui più tardi si pentiva.
Quella mattina non uscì come al solito a prendere il giornale, non riusciva a convincersi del suo evidente cambiamento. Sentì squillare il telefono ma non rispose non voleva parlare con nessuno nemmeno con Adriana così intuitiva che subito avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava bene; non voleva raccontare quello che continuava a vedere nello specchio. Mentre il telefono squillava insistente pensò “devo tagliare con Adriana”.
Passò la giornata a casa cercando di fare qualcosa di concreto. Sistemò tutte le carte di lavoro, contratti già stipulati che ancora non aveva messo nelle loro cartelle, fece il conteggio delle spese da farsi rimborsare dalla società con cui lavorava e cercò di distrarsi con la televisione.
Quando arrivò l'ora di pranzo, si riempì una piadina di mozzarella e prosciutto e mangiò svogliato e pensieroso. Mentre mangiava lo consolò il fatto che non avvertiva nulla di diverso nella sua bocca. …Era come se non fosse accaduto niente.
Più lungo e noioso fu il pomeriggio, i suoi percorsi dalla poltrona allo specchio erano diminuiti perché ormai era convinto che aveva subìto un cambiamento, la bocca era più grande di almeno un centimetro ed anche i denti sembravano diversi e più arrotondati.
I pensieri turbinavano nella sua mente e soprattutto l'ipotesi di un possibile ritorno alla normalità lo teneva attento e vigile. Arrivò la sera non aveva sonno, non sapeva che decisione prendere se andare l'indomani dal suo amico medico per avere una spiegazione, ed accertare se fosse possibile ad un uomo della sua età cambiare il profilo del naso e la forma della bocca e dei denti.
Verso la mezzanotte andò a letto, si girava e rigirava nel letto irrequieto e disarmato, pensava a quello che gli era accaduto nei giorni precedenti per trovare un nesso o una spiegazione. Tutto era stato normale eccetto l'incontro con una strana donna straniera che lo aveva irritato con la sua insistenza nel volergli leggere la mano. Quando lei si rese conto che lui era deciso a non perdere tempo lo guardò con uno sguardo terribile e pronunciò alcune parole in una lingua sconosciuta. Roberto non ci fece caso ed accelerò i suoi passi per allontanarsi il più velocemente possibile dalla zingara petulante. Con questo pensiero, estenuato dalla pesante giornata, si addormentò.
Sognò di attraversare delle stanze buie e vuote correndo per sfuggire alla persecuzione della zingara che gli appariva nel sogno in abiti orientali sempre diversi; ora vestita di nero ora di rosso ora velata di bianco piena di accattivante seduzione, ma con l'intenzione di fermarlo per leggergli la mano. Lui correva da una stanza all'altra del grande edificio abbandonato con il terrore di essere raggiunto.
Si svegliò alle prime luci dell'alba stremato e stanchissimo gli sembrava di avere le braccia pesanti ed era tutto bagnato di sudore. Non si alzò subito, ma rimase a letto tranquillo gustando il risveglio da un incubo così inquietante. Tutto era tranquillo nella casa.
Lentamente si alzò per andare in bagno, entrò e si guardò allo specchio. … Oddio … Oddio! Che cosa gli era successo? Non aveva più gli occhi , non aveva più il naso, lo specchio gli restituiva l'immagine di un manichino con la pelle tirata e con la bocca che era rimasta tale e quale a quella del giorno avanti!
Gli sembrò di impazzire ci vedeva e non aveva gli occhi, ci sentiva e non aveva le orecchie, respirava e non aveva il naso, solo la bocca, aveva solo la bocca! In preda al panico telefonò al medico, rispose la segreteria telefonica … cosa poteva fare cosa doveva fare? Non lo sapeva.
Svenne.
Quando si riprese era senza forze. Analizzò le sue facoltà: pensava, vedeva, sentiva, parlava, poteva muoversi. Decise di uscire.
Si affacciò alla finestra l'aria era rigida il cielo era coperto e prometteva pioggia, bene! Erano le condizioni migliori per coprirsi ed indossare cappello, occhiali ed una grande sciarpa per coprirsi il viso ed uscire. Prese la macchina che aveva posteggiato sotto casa e decise di andare in ospedale. In un primo momento gli era sembrata l'idea più giusta, poi mentre guidava pensò che l'avrebbero interrogato, visitato, tormentato in vario modo e trattenuto senza risolvere il suo problema: tornare alla normalità.
Mentre attraversava la città, senza sapere cosa fare né con chi parlare, passò davanti ad una piccola chiesa in stile gotico che aveva notato anche altre volte: l'aveva sempre guardata con curiosità senza esserne interessato fino a fermarsi. Istintivamente accostò la macchina al marciapiede e decise di andare a parlare con un prete. Forse era una buona idea!
Ripensando in quel momento al sogno notturno si era quasi convinto di essere vittima di un sortilegio. Si fermò vicino al piccolo cimitero che fiancheggiava la chiesa. L'aria rigida e nebbiosa addolciva il profilo delle tombe di pietra grigia dove le scritte di metallo qua e la davano qualche riflesso luminoso. Tutto sembrava irreale, c'era anche un' insolito silenzio.
Camminò sul vialetto di ghiaia che conduceva alla chiesa ascoltando, a conferma delle proprie potenzialità, lo scricchiolio dei suoi passi e notò i merli che saltellavano tra le tombe. C'era quiete e si sentì pacificato. Entrò nella chiesa, lo sorprese l'odore del legno dei banchi e lo confortò il silenzio e la vista dei lumini accesi nella semioscurità delle cappelle.
Si sedette continuando a pensare alla propria situazione ad un certo sentì una mano sulla sua spalla ed una voce sommessa ed accattivante che gli chiedeva se doveva parlare con qualcuno.
Era un vecchio prete che lo interrogava. Aveva i capelli bianchi lunghi, la tonaca un po' trasandata ed in mano aveva un rastrello da giardino. ”Non lo so” Fu la risposta di Roberto che in quel momento si pentì di essere entrato in chiesa. “Io non sono credente” aggiunse “Io sono don Mario e credo in Dio. Venga le faccio vedere il mio giardino”. Roberto contrariato dalla piega che stava prendendo la situazione si alzò lentamente e seguì il prete che si era già avviato lungo la navata centrale per andare ad aprire una porticina sulla navata di destra, Roberto lo raggiunse ed uscirono.
Il cortiletto che attraversarono era poco invitante, poche piante spoglie e sullo sfondo un edificio verde dal quale proveniva attutito il suono di tante voci. Il prete si diresse verso l'edificio ed entrò decisamente dicendo :”Venga, venga”.
Entrarono e Roberto si trovò davanti un gruppo di persone di varie età che parlavano animatamente. Notò che tutti portavano sul vestito una piastrina colorata differente da persona a persona. Sembrava una festa animata e gioiosa ma dopo il primo impatto si accorse che nessuna di quelle persone che incuriosite si erano avvicinate a lui poteva vederlo. Questo lo rassicurò. Si avvicinò a lui anche una bambina che poteva avere cinque o sei anni che gli prese la mano chiedendogli: “ Come ti chiami, sei cieco?” Roberto rispose “No, non sono uno di voi”.
Il prete lo guardava , fino ad allora non aveva capito cosa fosse capitato al giovane che aveva davanti. Ma quando Roberto tolse gli occhiali e la sciarpa, capì che era un disperato venuto a cercare aiuto. La bambina tirando il braccio di Roberto per essere ascoltata gli disse: “Io sono Iris e tu che fiore sei?” “Io non sono un fiore mi chiamo Roberto e sono un adulto” “Si, lo sento dalla tua mano e dalla tua voce ma qui devi scegliere il nome di un fiore perché tutti noi lo abbiamo”.
Coinvolto dalla spontaneità della bambina rispose “Se devo avere il nome di un fiore dammelo tu, vuoi?” “Si si tu sei Anemone. Ora però devi mettere la piastrina colorata del nostro gruppo. Vieni ti faccio vedere come si fa” “No, no ora devo andare, no Iris devo proprio andare”.

Lasciò la bambina e senza dire altro uscì di corsa dal padiglione. Il prete lo guardò pensieroso ma non disse nulla; lui non poteva fermarlo ma sperò che tornasse. Roberto correndo si avvolgeva la sciarpa attorno al volto, aveva voglia di urlare, salì in macchina senza meta, improvvisando il percorso ad ogni bivio. Questo si, questo no finché esausto sentì il bisogno di tornare a casa.

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