di Attilio A. Romita 13
marzo 2019
Il libro “UNO NON VALE UNO -Democrazia diretta e altri miti
di oggi” di Massimiliano Panerai, presentato oggi dall’autore e da un tavolo di
attenti commentatori, è lo spunto per una discussione sulla nostra
democrazia sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista politico.
Quanto ascoltato mi occasione per alcune riflessioni di
ordine generale che, credo, ben si adattino al momento politico che stiamo
vivendo.
Nel novembre 1863 Abramo Lincoln dettò la celebre
definizione della democrazia come il «governo del
popolo, dal popolo, per il popolo,” che in modo dettagliato ed allo
stesso modo pragmatico e conciso descrive la missione che ogni persona chiamata
a compiti di governo dovrebbe avere incisa nella sua mente. Ma nella accezione
comune, come sottolineato da uno dei presentatori, il concetto di POPOLO è
stato snaturato ed ogni parte politica definisce popolo solo le persone che
condividono le sue idee, pensieri e scelte. E questo, all’atto pratico, significa
che esistono nel mondo democratico almeno due popoli: quello di chi governa e
quello della opposizione ed è questo un valore da preservare.
“El pueblo unido
jamás será vencido” cantavano gli Intiillimani che incitavano alla lotta il
popolo che però sino a quel momento era stato unito dalla dittatura che non
ammette opposizione e democrazia.
Sulla base di questa premessa ogni proposta di governo
accanto alla parola popolo dovrebbe
far seguire un “complemento di specificazione” che meglio lo identifichi.
Troppo spesso i “politici” pensano di
essere più incisivi e diretti rivolgendosi al “popolo”, ma sono soltanto più
vaghi e meno credibili.
La seconda riflessione riguarda una dicotomia che sembra possa
esistere tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
Nella accezione corrente si tende ad identificare con il
termine “diretta” una democrazia nelle quale TUTTI partecipano alle decisioni
sul governo delle attività di tutti e per tutti.
Vorrei far notare che sin dai primordi dell’attività umana
nei villaggi le decisioni erano prese dagli anziani che, con la loro saggezza,
erano chiamati a fare le scelte più adatte.
Nel corso dei secoli c’è stata una alternanza continua tra “comando
unificato”, il dittatore non eletto, e “comando condiviso” esercitato da un
gruppo di persone individuate con strumenti diversi.
Ancora oggi, fortunatamente sempre con maggior frequenza,
gli stati comandati, cioè direttamente guidati da “capo supremo” tendono a
diminuire e a sparire sostituiti da stati democratici.
Caratteristica forte di uno stato democratico è la delega
del governo ad un gruppo ristretto di persone in grado di condividere le
necessità e le soluzioni valide per tutti.
E sono le periodiche elezioni, cioè la scelta libera e
diretta di tutti, che individuano “i delegati” chiamati ad esaminare e scegliere
le migliori soluzioni per tutti.
Questa “delega temporanea di potere” è basata sulla fiducia
che il Popolo, questa volta tutti noi, offre ai suoi delegati e che, per una
corretta gestione della cosa pubblica non può essere messa in gioco ad ogni “stormire
di fronde”.
In questi ultimi tempi l’idea del “referendum continuo”
viene sempre più sollecitata da alcune parti politiche. A parte le
considerazioni sulla reale validità del referendum con partecipazione parziale,
io credo che il referendum sia l’abdicazione al principio della delega mentre
le normali elezioni sono la reale democrazia diretta partecipata.
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