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sabato 4 luglio 2020

AMARCORD – IL RAFTING

 Flavio Impelluso                                                                  3 LUGLIO 2020
 
Nel corso di una normale giornata, nel susseguirsi di atti e di fatti banali, è difficile che non accada qualcosa che non mi riporti al passato, un discorso, un incontro, la televisione, persino un suono o un odore. 
Dicono gli amici che abbiamo vissuto tanto e tanto viaggiato, quindi abbiamo tanti ricordi: vero. Però questo comporta una sensazione dolce-amara, perché spesso cose che accadono o che mi raccontano le ho già sentite, o viste, o vissute, tanto tempo fa.
L’ultima volta mi è capitato con una trasmissione televisiva, dove una famigliola americana, padre, madre e figli, si divertivano a fare rafting giù per un torrente, tutto ovviamente in formato americano: gommone stazza portaerei, accompagnatori che sembrava lottatori di wrestling, equipaggiamento al top, tute, caschi, scarpette e salvagente, e vai alternando espressioni di gioia e di terrore nei passaggi più impegnativi. E il pensiero scivola all’indietro su un ricordo, quando cercai di collocarlo nel tempo non riuscii ad acchiapparlo, comunque era parecchio all’interno del secolo scorso. Mia moglie ed io eravamo nelle Filippine, tappa intermedia di un tour in Estremo Oriente: un pomeriggio, a Manila, il gruppo si divide, chi rimane in piscina, chi va a compere, noi ci facciamo allettare (insieme ad un altro paio di coppie) da una escursione in barca prevista dal programma. Ci vengono a prendere con un pulmino dal musetto familiare, scopro che è un Dodge ereditato dall’esercito americano, ci dirigiamo all’interno, spalle al mare, verso le montagne. Alle nostre domande stupite, la guida taglia corto: no mare, il giro inizia da lago. OK. Il piccolo Dodge faceva il suo dovere, ma la strada era infame, le pendenze toste, e non si arrivava mai. Finalmente al lago, una darsena e un bungalow, ci invitano a togliere gli abiti che si sarebbero bagnati con gli schizzi, forniscono alle signore alcuni pareo ed a noi dei mutandoni all’hawaiana, mi tocca una taglia da lottatore di sumo, io sono una 48, smoccolo perché mi calano. Imperterrito ed efficientissimo, la guida mi sigilla con due giri di spago alla vita, e via. Una barca a coppia: piroghe bellissime, lunghissime, strettissime, un legno nero duro pieno di sfregi, un giovane con pagaia a prua ed uno poppa, noi al centro seduti direttamente sul fondo. La guida ci raccomanda mimando di NON reggersi ai bordi della barca, pericolosissimo! Si comincia, dal laghetto usciamo su un piccolo canale che dopo un po’ si immette in un torrente, di colpo ci troviamo in un inferno di acque ribollenti tra rocce paurose, la pendenza è folle e la piroga prende subito velocità, un missile. Nonostante la evidente dimestichezza dei pagaiatori, i mulinelli ed i salti fanno imbardare le piroghe e praticamente percorriamo dei tratti rimbalzando a zig-zag tra le sponde, botte terribili sui roccioni, ecco perché gli sfregi…. Le fiancate della piroga, quando picchiano sulle rocce, fanno un bang che sovrasta addirittura il rombo cacofonico del torrente. Una sensazione strana, terrorizzante eppure inebriante, ma non puoi fare niente, sei come un turacciolo nella risacca, le rocce che ti si avventano contro. Un attimo di calma e cominciano le rapide, lo stomaco in gola, botte alla schiena, la discesa non finisce mai. Dopo un tempo che sembrò infinito torniamo al piano, approdiamo, scendiamo frastornati e infreddoliti, una signora si sente male, siamo tutti indolenziti e ammaccati dagli urti, anche per la impossibilità di reggerci: qualcuno mugugna. La guida forse lo interpreta come un rimprovero, credo voglia spiegare perché ci ha detto di non aggrapparsi alle sponde: chiede ad un anziano custode di mostrarci la mano, non ha più dita, solo il palmo ed il pollice. Un urto, commenta serafico, non ha fatto in tempo a ritirare la mano dal bordo. Ripensandoci - i paragoni vengono inevitabili - il nostro rafting primitivo sembra di un altro mondo rispetto a quello “americano”. Ma mi guarderò bene dal ricordare quell’esperienza con gli amici, sennò ricominciano con il solito “certo, ne è passato di tempo…. “ e non li voglio sentire. Lo so da me.

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