Flavio Impelluso 22 luglio 2020
Qualche migliaio di anni fa, forse 5.000, forse 6.000, un uomo sta esplorando le trappole che ha predisposto nei giorni precedenti: siamo nel sud dell’Italia, tra migliaia di anni si chiamerà “Puglia”. Fare il giro delle trappole è la sua occupazione principale, ogni giorno batte il suo territorio di caccia e quasi sempre trova di che sfamare sé stesso e la sua famiglia, talpe, furetti, raramente faine, lepri, e di stagione buona anche uccelli.Qualche volta si raccolgono più cacciatori insieme,
spesso è il caso a farli radunare, nel senso che può arrivare notizia di prede
più grandi o di branchi e allora per forza occorre chiamare tanti cacciatori, ma
non è facile, occorre mettersi d’accordo e lasciare le famiglie indifese per
giorni o persino settimane, e non è bene.
Una volta è stato necessario addirittura combattere
contro un grande orso che era giunto nel loro territorio, e tutto era andato
bene sino a quando una caccia particolarmente fruttuosa non lo aveva attirato
per l’odore del sangue vicino alle capanne, e allora avevano tentato prima di
allontanarlo spaventandolo, ma quello li aveva attaccati e avevano dovuto
ucciderlo. Ma se appena potevano stavano tutti alla larga dagli animali
pericolosi come l’orso, o i lupi o anche le linci, nessuna preda di quel tipo
valeva la vita di un cacciatore: il loro orso prima di morire ne aveva ucciso
uno sventrandolo con una zampata e reso invalido per sempre un altro
strappandogli un braccio. Meglio arricchire la dieta di tuberi e frutta con le
trappole.
E infatti il nostro vede già da lontano che una delle sue
trappole ha una forma strana, c’è rimasto dentro qualcosa, e man mano che si avvicina
distingue una lunga orecchia, è una bella lepre: le toglie dal collo quasi con delicatezza il laccio sottile ma
resistente di pelle di ratto che la ha soffocata e capisce perché la sagoma da
lontano appariva strana, è che una delle orecchie della lepre è rimasta piegata
nel laccio e non si vedeva. La lepre è grossa e muscolosa, nel dimenarsi per
cercare di liberarsi ha praticamente distrutto la trappola, il nostro
cacciatore la ricostruisce con pazienza, per fortuna l’animale non ha rotto il
laccio che è un piccolo gioiello perché sottilissimo e quindi poco visibile ma
resistentissimo, ci ha messo giorni per conciarlo come voleva.
La ricostruzione ha richiesto tempo, il sole non è ancora
completamente calato ma comunque il nostro non farebbe in tempo a tornare alla
capanna prima del buio, alcuni passaggi non sono agevoli, un cacciatore non si
può permettere neanche una semplice storta ad una caviglia, la innata saggezza
– affinata da anni di esperienze – nel valutare le situazioni lo induce a
fermarsi. Spellerà la lepre, ne mangerà gli organi interni più deperibili e
domattina riprenderà il cammino.
Trae da una bisaccia di pelle che ha al fianco una
piccola selce, la impugna saldamente con la mano destra ed inizia il lungo e
faticoso lavoro: l’arnese che ha in mano è un altro piccolo gioiello per quel
cacciatore, taglia bene ma poi lui ne ha fatto uno strumento di alta tecnologia
perché ha ricavato su un lato due piccole anse in cui può appoggiare il pollice
e fare forza.
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Passano gli anni, i secoli, i millenni, un mio caro amico
e la moglie appassionati di “preistoria” stanno conducendo in Puglia una loro
campagna di scavi alla caccia di manufatti appunto preistorici, tra le altre
trovano una piccola selce lavorata, una lama da un lato, poco sopra piccoli
incavi per la presa del pollice. Quando ripassano per Roma si fermano da noi e
mi regalano la piccola selce.
>Adesso sto al mio tavolo di lavoro, preparo la prossima
conferenza, nelle pause giocherello con la selce plurimillenaria che mi è stata
regalata, cosa preziosa, la accarezzo con il pollice negli incavi e lei mi
racconta la sua storia.
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