di Attilio A. Romita 2
agosto 2020
In
un quaderno del 2013 ho ritrovato un
mio scritto sul Cloud Computing e questo argomento voglio riprendere adesso in
epoca di grandi discorsi sulle possibilità che Internet possa favorire il “Lavoro
Agile”.
In questi 10 anni la tecnologia è andata avanti sempre più
velocemente, ma l’applicazione della tecnologia ha spesso segnato il passo per
vincoli etici, politici e giuridici molte volte ispirati al nefasto “principio
di cautela” più che a reali problemi di sicurezza. In questa nota, nella
prima parte, proverò a descrivere l’utilizzo di questo strumento prescindendo
un momento dai problemi di privacy e nazionalismo.
CLOUD COMPUTING è una abbreviazione che appare sempre
più spesso anche su giornali “normali”e non solo sulla stampa specializzata, è
bene precisarlo subito: non è l’ennesima diavoleria da “grande fratello”.
CLOUD COMPUTING significa semplicemente lavorare
con un computer su dati ed informazioni che sono archiviati con tecnologia CLOUD,
cioè in archivi specializzati distribuiti nel mondo e raggiungibili
collegandosi ad Internet.
Cominciamo dall’inizio cercando di capire cosa si intende per CLOUD
nel nostro mondo. Da poco più di 20 anni si identifica con rete e digitale
tutto l’insieme di servizi ed informazioni che ci permettono, quasi senza spostarci
dalla nostra poltrona, di conoscere informazioni, richiedere documenti,
accedere a servizi usando un sistema di collegamenti internazionali (Inter-Net)
che si stende come una ragnatela sul mondo (WWW – World Wide Web).
Per l’esecuzione pratica dei servizi si usano “macchine”
(hardware) e “programmi” (software). Le macchine sono diversissime: dai
grandi computer della NASA, ai PC di casa, agli SMARTFONE e agli Orologi
digitali. I “programmi” sono la serie di comandi che permettono alle
“macchine” di eseguire dei compiti ben definiti su i dati di volta in volta
forniti dall’utente sia direttamente, per mezzo di una tastiera, sia
prelevandoli da archivi posti nel computer stesso che in archivi raggiungibili
tramite internet.
Gli archivi “lontani” sono normalmente registrati su
dispositivi fisici, i “dischi”, che possono essere fisicamente collocati nel PC
di casa o nel Sistema elaborazione Dati aziendale oppure nel CLOUD cioè in
archivi fisici speciali gestiti da una Società che “affitta” spazio ai propri
clienti garantendo sicurezza, privacy e conservazione dei dati registrati. Il CLOUD
è quindi una realtà fisica reale ben definita assolutamente diversa dalle
…nuvolette rosee o dai nuvoloni tempestosi.
Esistono i Cloud pubblici, cioè spazi di registrazione dei
dati aperti a tutti secondo vincoli contrattuali specifici e i CLOUD privati
cioè spazi di registrazione aperti a particolari classi di utenti: per es.
Cittadini di una nazione, Autorità pubbliche, Dipendenti di una impresa
internazionale.
Caratteristica principale di un CLOUD è la sicurezza fisica,
cioè la protezione dei macchinari da incendi, calamità naturali, guerre,
incidenti che possono interrompere il servizio. Spesso questi locali “pieni di
dischi” sono collocati in caverne naturali o artificiali con sistemi di aereazione
e protezione che nulla hanno da invidiare a a Fort Knox dove è conservato il
tesoro USA.
Caratteristica non secondaria del CLOUD è la protezione forte delle
informazioni per evitare usi non permessi dal propietari dei dati cioè chi ha
“affittato” l’area di registrazione per i suoi dati.
Ma perché il CLOUD spesso è considerato territorio di libera
caccia aperta a tutti?
I dati e le informazioni private possono avere valore anche e
non solo per il propietario -pensiamo per esempio a dati bancari o a segreti
industriali o personali- quindi possono attrarre un “malintenzionato digitale”.
Tutti i fornitori di Cloud mettono in atto criteri di
protezione e, normalmente, maggiore è la notorietà del fornitore, maggiore è la
sicurezza del “suo” Cloud.
I nostri dati in Cloud sono ragionevolmente sicuri perché le
protezioni di sicurezza messe in atto dai fornitori più importanti sono
migliori di quelle attuate in molti datacenter privati o pubblici.
Spesso i “centri CLOUD” sono collocati in zone particolari poco popolate per permettere
dei controlli di sicurezza migliori. Queste località sono quasi sempre al di
fuori dei confini nazionali e questo “fa storcere il naso” a molti difensori
della fede nazionale che temono il furto di dati e segreti nazionali. E’ vero,
sarebbe stata una giusta preoccupazione 50 anni fa, non oggi in un mondo
globalizzato pieno di canali di comunicazione e nel quale tutti comunicano con
tutti, dove il malintenzionato può entrare in un archivio a Mosca lavorando da …Canicattì.
Infine è importante una precisazione: non si parla di Cloud
quando ci riferiamo a dati personali che noi privati forniamo ad un prestatore
di servizi (Ebay, Amazon, Facebook, provider di rete, email, etc) e che in
forma fraudolenta potrebbero essere copiati, …ma di questo ne parleremo
un’altra volta.
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