Quando ho lasciato la casa, dove ho vissuto quaranta anni,
stranamente non ho provato nessun senso di sofferenza. Il breve tragitto dal
vecchio quartiere al nuovo è stato un addio definitivo. I miei pensieri erano
interamente proiettati verso la mia nuova sistemazione, l’aspettativa
ottimistica e misteriosamente serena.
Andare incontro a quella che chiamo oggi
la mia terza vita non mi spaventava, ma anzi mi appariva come il passaggio dal
passato ad una nuova esperienza insolita e rinnovatrice.
La casa dove tutt'ora vivo la conoscevo, vi avevo vissuto
qualche anno da giovanissima e non l'avevo amata, ma per me l’incognita era
sapere se sarei stata capace di integrarmi in un quartiere così distante dal
centro storico, deturpato dalla speculazione edilizia con case abusive e grandi
palazzi che si alternano a comporre un tessuto cittadino privo di grazia e di
armonia.
E' una zona della città a cui si accede dalla monumentale
Porta Maggiore, costruita su un tratto dell'acquedotto dell'Acqua Claudia. La
via Prenestina e la via Casilina ne limitano una parte, un'area triangolare
attraversata al centro dalla ormai famosa via del Pigneto, che parte da piazza
Lodi ed arriva a via dell'Acqua Bulicante.
E' una strada così anonima da non poter sostenere il
confronto neppure con il più piccolo paese del Lazio dove c'è sempre una bella
piazza, una bella chiesa, un palazzetto signorile o un monumento, dove c'è
sempre una fantasiosa fontana o un giardinetto.
C'è però nel quartiere una preziosità che colgo
all'improvviso senza averci mai pensato prima. Gli archi di piazza Lodi
sembrano un addio della città, e l'acquedotto che spesso ci troviamo davanti è
una testimonianza di romanità, come i monumenti funebri.
I più conosciuti sono il colombario di S. Marcellino, la
tomba del fornaio Marco Virgilio Eurisace ed altri ruderi ormai nascosti dalla
vegetazione esuberante del parco trascurato di Villa Gordiani.
Per il quartiere questi monumenti sono il segno di una appartenenza
a Roma, malgrado l'anonimato di un territorio violentato dalla speculazione
edilizia. Grazie a Dio, penso, sono sempre a Roma! Una Roma lontana dalle
bellezze del centro, e quella che un tempo era la più povera è oggi la parte più bella del quartiere: il
Pigneto sopravvive con le sue casette ed i suoi palazzetti umbertini
tinteggiati di rosa e bianco.
Quel giorno di giugno, per l'esattezza il 22 giugno del
2011, non sospettavo che il trasferimento sarebbe stato un viaggio verso una
dimensione ambientale e sociale completamente diversa dalle mie aspettative.
La città di Roma è stata sempre abitata anche da persone di
altri paesi ma oggi queste presenze sono più attive, stanno cambiando il clima
sociale della città ora completamente diversa da quella della mia infanzia.
Sono un ricordo l'assenza delle macchine ed il netturbino in
camice azzurro che in estate, alle due del pomeriggio, annaffiava le strade. C’erano
allora signore eleganti e servette pettegole ed indaffarate; oggi ci sono
badanti forzatamente lente e pazienti; le botticelle ferme ai posteggi sono sparite;
di notte il rumore dei passi dei viandanti solitari sui marciapiedi illuminati
dalla luna è scomparso. Tutte queste cose erano il respiro, il battito cardiaco
di una città quieta e piacevolmente noiosa. La nostalgia però non mi coinvolge.
Inizialmente mi sono dedicata a sistemare il mio alloggio
con le mie vecchie cose i miei quadri i miei libri, e così come fanno tutti gli
esseri viventi mi sono dedicata a creare l'angolo in cui essere veramente me
stessa, ma subito dopo ho iniziato il viaggio non ancora terminato alla
scoperta del quartiere periferico, ma non povero, abitato da professionisti
artigiani operai impiegati e tanti immigrati dove le strade sono ricche di
negozi e di bar sempre pieni e rumorosi.
E' un luogo dove ho incontrato tante persone nate nelle case
paterne dove ancora continuano a vivere, ma anche tante persone venute da
lontano. Io mi sento simile a loro perché anch'io vengo da lontano. Vengo da
una zona di Roma dove se incontravi una donna in sahari rimanevi sorpresa per
la sua presenza o per la sua bellezza. Qui tante sono le etnie e la loro
presenza è discreta e si integrano attraverso il commercio o la ristorazione.
A Tor Pignattara ci sono tante stradine silenziose che
ricordano i tempi passati ed alcune strade commerciali ricche di negozi e
negozietti traboccanti di merci colorate, da cui si affacciano persone con il
capo avvolto da un turbante o cinesi ossequiosi e discreti. Sono volti diversi,
idiomi diversi, suoni diversi.
Questa mia nuova città è una Roma lontana dalle piazze
storiche, lontana dai prestigiosi ruderi arcaici o imperiali, è una Roma dove
si respira una vita senza barriere e dove è richiesta l'accettazione della
diversità se si vuole sopravvivere: sono aspetti di un cambiamento che si
avverte prepotente in periferia. Il contatto con questa metamorfosi sta
cambiando anche me.
Sono nata a Roma e sto imparando che la vita è una continua
evoluzione. Sto imparando che tutti abbiamo gli stessi problemi, gli stessi
affetti e le stesse paure.
Un giorno, camminando per una stradina poco frequentata, mi
sono trovata davanti all'ingresso di una moschea con i cancelli chiusi e vicino
ad un negozio di abbigliamento orientale che mi ha incuriosito. Il negozio
rettangolare aveva un aspetto surreale, quasi inquietante con tanti manichini
in abiti sfavillanti di lustrini e ricami, illuminato violentemente dalla luce
al neon. In fondo al negozio erano sedute cinque persone che guardarono subito
verso di me cercando di capire che cosa volessi, se solo guardare oppure
comperare qualche cosa. Quando sono uscita ho provato una sensazione di
malessere, mi è sembrato che quelle persone fossero terribilmente infelici; lì,
in quel negozio, in quella brutta strada senza sole con tutti quei manichini
immobili ed inespressivi, mi è sembrato di leggere nei loro volti esotici i
segni di una profonda nostalgia, quella della loro terra lontana, delle loro
case, dei loro templi dorati, della loro vegetazione, del loro cielo.
Il fruttivendolo del Bangladesh vicino alla mia casa mi ha
chiesto un giorno se potevo portare qualche volta sua moglie a vedere Roma; ne
sono stata sorpresa e lusingata. Vedere Roma, la sua Roma, perché questa città
classica e barocca è diventata anche la sua città.
Qui in questo anonimo quartiere attraverso la sua varietà,
attraverso la sua casualità io mi sento ogni giorno in viaggio. Sono una
cittadina che facendo pochi passi scopre nuove emozioni.
Spesso mi sento a disagio perché è prepotente un'atmosfera
diversa dai luoghi della mia giovinezza, luoghi dove non potrò più tornare,
luoghi dei ricordi, luoghi di emozioni giovanili su cui si sono sovrapposte
altre esperienze.
Ho la consapevolezza di essere ormai al capolinea del mio
viaggio che per fortuna mi offre ancora tante opportunità, tante possibilità di
godere, di capire questa città cattolica, buddista, islamica e da sempre
ebraica. Roma città orientale dove gli splendori dell'oriente sono stati sempre
presenti; se ne trovano testimonianze nei suoi monumentali edifici, nelle sue
antiche chiese, nelle piazze dove gli obelischi parlano di antiche culture e di
antiche conquiste.
L'architettura borrominiana fa sfoggio di sacelli
sovrapposti, si avvale di cupole fantasiose ed orientaleggianti, di edicole e
decorazioni che arricchiscono campanili e di facciate con soluzioni che
ricordano i templi di Petra e i monumenti di un oriente che s'affaccia sul
Mediterraneo.
I mosaici bizantini sono presenti in moltissime basiliche
romane e ci tramandano un sorprendente messaggio di austero misticismo, ma la
Roma orientale che io vedo oggi intorno a noi è rappresentata dalla gente.
Immigrati provenienti da tutte le parti del mondo sono qui, a cercare nella
nostra bella città una possibilità di vita. Gente disperata e coraggiosa,
intraprendente ed ostinata con la quale dobbiamo dividere quello che abbiamo ma
che ci sono anche di stimolo e molte volte di aiuto.
Quello che mi sorprende in loro è la gentilezza, la
disposizione al sorriso e a volte anche la furbesca espressione degli occhi
grandi ed accattivanti dai quali però bisogna non farsi incantare.
Non parlatemi della delinquenza, non la vedo in questo
quartiere periferico, perché qui, al Prenestino vedo solo una umanità operosa
che ha trovato un angolo di mondo in cui far nascere i propri figli in cui
sperare per il futuro.
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