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domenica 7 settembre 2014

Le società ICT "in-house" …riflessioni ignoranti.

Attilio A. Romita                            7 settembre 2014

Ieri leggevo su “Agenda Digitale” (http://www.agendadigitale.eu/egov/1026_le-societa-ict-in-house-al-bivio.htm ) un articolo di Paolo Colli Franzone sul destino delle Società ICT in house. Sono d’accordo sull’analisi della situazione attuale, ma non sono d’accordo sull’origine e sullo sviluppo del problema.

Per cominciare una riflessione di base valida per qualsiasi rapporto di lavoro: tutte le volte che una società, impresa o amministrazione non riesce ad avere un bilancio economico in attivo o almeno in pareggio è necessario provvedere a tagli drastici su spese e risorse per evitare il fallimento. Questo vale anche nel caso di società in house che non possono essere enti di beneficenza pubblica. Riconosco che queste misure possono sembrare ingiuste, asociali: forse anche creare una sorta di “stipendio a casa” a carico della beneficenza pubblica. Questa soluzione è sicuramente molto “cattiva” e può avere effetti psicologici devastanti, ma l’alternativa è continuare con un sistema che costa troppo ed ha una scarsa efficacia commerciale: nel caso delle società in house, il bilancio dovrebbe essere almeno il pareggio per la costruzione prodotti con un costo inferiore al mercato.
Domande sono: perché si è arrivati a questa situazione? perché sono nate queste società non solo ICT? L’analisi di Colli Franzone spiega che le società in house si sono rese necessarie quando, con l’avvento delle regioni, si è dovuto risposte locali alle necessità di automazione informatica.
Prima conseguenza negativa è stata la moltiplicazione di soluzioni simili e di costi. Caso classico, ormai diventato esempio di scuola, è la stampa della Carta d’Identità cioè delle mille soluzioni locali diverse per arrivare alla stampa dello stesso documento. Nei vari CAD – Codice Amministrazione Digitale – è stato previsto il riuso delle soluzioni. Ma i quasi 10000 enti pubblici italiani, la cui unica differenza è il nome geografico, hanno sviluppato una soluzione diversa per lo stesso problema.
Esaminiamo ora perché e come si sono sviluppate le società in house. La forte spinta al federalismo ha favorito la ricerca di soluzioni locali che però richiedevano la presenza di professionalità in ambito locale. Ma le regole pubbliche per l’assunzione di esperti cozzavano con le regole del mercato ….allora occorreva un metodo alternativo che è stato facilmente trovato: una società privata esterna di proprietà pubblica che poteva operare secondo le regole del mercato, appunto una società in house.
Una prima conseguenza fu proprio sul libero mercato, infatti le società private persero una larga fetta di clienti a causa di una concorrenza che mi sento di definire sleale in quanto fatta a costi ridotti da società che potremmo definire non a scopo di lucro. In linea di principio e dal punto di vista sociale questo modo di agire potrebbe essere considerato giusto. Ma dal punto di vista pratico ed economico al risparmio teorico si contrappone un vulnus che in alcuni casi ha comportato la chiusura delle società private e conseguenze non positive all’economie generale.
Le cose sarebbero andate ancora bene, ma qualche amico cominciò ad essere assunto e talvolta il numero degli amici è diventato maggiore del numero degli esperti ed il bilancio ne ha risentito pesantemente.
Sino a qui il discorso relativo alle società ICT in house. Molto peggiore è la situazione relativa alle società in house create per l’esternalizzazione dei servizi che sono servite solo ad eludere le leggi per le assunzioni pubbliche ….ed in  questo caso quasi sempre non si trattava di super specialisti e neanche di semplici specialisti.
Di chi è la colpa di tutto ciò ….forse delle regole bizantine che la nostra burocrazia si è data e degli eccessi di zelo burocratico legalistico che non proteggono nessuno.

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