AAR – Ciao
Salvatore, è un po di tempo che non ci sentiamo. Proviamo a riprendere le buone
abitudini. Ricordo che nell’ultimo dialogo hai accennato a Einstein? Come mai?
SAR – Si ci
arriveremo. Ma prima sento l’esigenza di accennarti a una bellissima storia
umana. Il rapporto tra Faraday e Maxwell.
AAR – Di che si
tratta?
SAR – Come già
detto Faraday era di umili origini
e, pur non avendo avuta una vera istruzione scolastica, nel 1813 divenne
assistente dello scienziato Humphry Davy e dieci anni dopo, 1823, divenne
membro della Royal Society.
AAR – E cosa fece
in quei 10 anni per raggiungere quel prestigioso traguardo?
SAR - Condusse
esperimenti e fece scoperte in vari campi pubblicando tutti i suoi lavori con
una descrizione minuziosa degli esperimenti. Con un piccolo particolare.
Praticamente nessuna formula.
AAR – Quindi più
facili da capire?
SAR – Non penso. Erano
concetti avanzatissimi. I suoi colleghi lo ammiravano, ma forse un poco lo
snobbavano, per la mancanza di una descrizione matematica.
AAR – Poi quei
concetti “letterari” chi li ha trasformati in “scientifici”?
SAR – E’ il
giovane James Clerk Maxwell che scende in campo. Nasce in Scozia nel 1831 in
una famiglia benestante. Riceve una istruzione di altissimo livello. È un
ragazzo precoce. A 16 anni entra all’università e pubblica il suo primo
articolo scientifico. Acquisisce piena
conoscenza della fisica e della matematica di quei tempi. Si laurea nel 1854 e
nel 1856 pubblica un articolo “Sulle linee di forza di Faraday” e ne manda una
copia a Faraday.
Il giovane Maxwell, dopo aver studiato minuziosamente tutti
i lavori di Faraday sull’elettricità e il magnetismo, aveva dato una
formulazione matematica di tutti i concetti sviluppati da Faraday.
AAR – Ma Faraday
mi pare non avesse avanzate conoscenze matematiche?
SAR – Sì. Penso che
Faraday si sia commosso a sfogliare quel libro, che riprendeva in modo organico
tutto il suo pensiero e lo traduceva in modo formale nel linguaggio matematico
che pur non capendolo, era sicuro descrivesse esattamente le sue intuizioni ed
i suoi esperimenti. Un passaggio di testimone tra due generazioni di scienziati
ma anche un grande atto di amore nella scienza.
AAR – Salvatore
per come me la racconti, deve essere stato emozionante. Faraday se ho fatto
bene i calcoli, aveva circa 65 anni, quindi a quei tempi abbastanza anziano.
SAR – Sì. Sembra
che cominciasse ad avere problemi di salute e si rammaricava perché spesso
dimenticava le cose. La ricezione di quel libro, lo rincuorava. In quel periodo
storico la sua grande intuizione del concetto di campo, non era compresa dagli
altri. Inoltre Faraday si era spinto oltre e aveva ipotizzato che anche la
forza gravitazionale, scoperta da Newton, dovesse trasmettersi come le forze
elettriche. Troppo visionario per i suoi coetanei.
AAR – Sembra un
romanzo! E come continua la storia?
SAR – James Clerk
Maxwell, continua i suoi studi sulle linee di ricerca di Faraday e scrive le
sue equazioni: le Equazioni di Maxwell. Con queste equazioni unifica in una
unica descrizione tutti i fenomeni elettrici e magnetici, scopre le onde
elettromagnetiche, ne calcola la velocità, utilizzando parametri da laboratorio
elettrico, e trova che è uguale alla velocità della luce! Suggerisco un momento
di silenzio e di riflessione.
AR – In questo
minuto ho pensato alla grandiosità del lavoro di Maxwell. Non solo scopre le
onde elettromagnetiche, ma che anche la luce altro non è che un’onda
elettromagnetica. Quindi la radio, la televisione, i cellulari funzionano sulla
base di questi studi!
SAR – Proprio
così. Maxwell pubblica il tutto in un libro in due volumi “A treatise on
electricity and magnetism” che letteralmente cambierà la storia…
AAR - , o meglio inizia la storia dell’elettricità
industriale.
SAR – Certamente
..era nata una nuova industria
AAR – Per gli
strani casi della storia mi pare di ricordare che questo nuovo mondo
industriale sia quasi un ponte Da Maxwell ad Einstein.
SAR – Una ventina
di anni dopo, nel 1885, il padre del giovane Einstein aveva già una azienda
elettrica con 200 dipendenti. Ma forse i tempi non eraano maturi e dopo dieci
anni l’azienda degli Einstein fallì e i suoi si trasferirono in Italia a Pavia.
Il giovane ribelle Einstein letteralmente fuggì da Monaco e raggiunse i suoi in
Italia. Un altro passaggio di testimone si prefigurava.. L’Italia, con la sua
cultura e la bellezza dei suoi paesaggi, alimenterà lo spirito creativo e
ribelle di Einstein. Ma penso che dobbiamo rimandare al prossimo dialogo.
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