Attilio A. Romita 7 febbraio 2016
La definizione OPEN
spesso stimola discussioni tra i “frequentatori” del mondo digitale. Oggi
uno scambio di tweet con alcuni miei amici mi ha stimolato ad aggiungere
qualche parola sull’argomento. I 140 caratteri “twittabili” rendono veloce la discussione, facilitano le battute,
ma non sempre facilitano in modo esaustivo la comprensione di un argomento.
Siamo tutti abbastanza
d’accordo che tutte le amministrazioni pubbliche deve far conoscere qualsiasi informazione
utile a rendere trasparente il loro operato con il solo limite del rispetto
della privacy delle persone.
Esistono varie formulazioni
e definizioni delle caratteristiche degli OPEN DATA della PA. Molti studiosi ne
hanno scritto e discettato a partire da Tim Berners-Lee cui va il merito di
aver inventato la grande ragnatela: il WWW, world wide web.
Il formato degli OPEN
DATA è stato da molti descritto e discusso. Una tabellina riepilogativa, forse direttamente
o indirettamente attribuibile a T.Berners-Lee, è spesso usata come “tavola
delle leggi” per gli open data della PA.
Proviamo a leggerla
insieme:
· Non-proprietary format: assolutamente condivisibile, i dati devono
essere disponibili e leggibili per tutti senza la necessità di strumenti protetti
da licenze che possono limitarne l’uso;
· Machine readable: caratteristica quasi ovvia ora che …abbiamo mandato in pensione la penna
d’oca
· Easy to access: la burocrazia che caratterizza la PA spesso tende a complicare le cose
semplici…
· Reusable whitout restrictive license: per i dati di una amministrazione pubblica
non deve esserci alcuna limitazione al loro accesso ed uso fatte salve le
normali regole di riservatezza per dati sensibili a qualsiasi livello.
· No Cost: è questa la caratteristica che ha stimolato la discussione ed alla quale
vorrei dedicare qualche parola di più.
Giustamente la
conoscenza delle informazioni legate alla gestione della cosa pubblica rende il
processo trasparente e permette di conoscere se è la corretta risposta alle necessità
della comunità che ha esigenze diverse e talvolta contrastanti.
Gli Open data sono uno
dei risultati dei processi gestionali che, però, devono essere previsti quando
quel processo è stato costruito o, come accade quasi normalmente, sono il risultato
di aggiornamento di quel processo. Inoltre i dati grezzi risultanti dai
processi gestionali devono essere elaborati da procedure che garantiscano le caratteristiche
base che gli open data devono avere.
Sulla base di queste
ultime considerazioni è chiaro che la produzione degli Open Data è un costo a
carico della comunità e possono rappresentare un valore per chi li vuole usare.
Il valore può essere
semplicemente e meramente economico se quei dati sono usati per costruire un
libro o per una soluzione alternativa basata su una proposta industriale privata:
in conclusione per qualcosa che produce denaro per chi li usa.
Open Data in altri
casi possono invece produrre valori sociali in quanto ricercatori “accademici” possono
farne oggetto di studio e proposte anche politiche utili per la comunità tutta.
La differenza della
tipologia di utilizzo è quella che giustifica, anzi impone, la definizione di
un costo dei dati che si intende utilizzare.
In conclusione penso
di poter riepilogare la mia, spero condivisibile, idea di Open Data nelle seguenti
affermazioni:
1.
E obbligo della
PA far conoscere tutte le informazioni relative ai processi di cui è
responsabile.
2.
La
produzione degli Open Data ha un costo economico
3.
Gli Open Data
possono produrre un valore economico per chi vuole usarli ed in questo caso
devono avere un costo per la loro acquisizione.
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