Attilio A. Romita 29 febbraio 2016
Questa nota nasce dal mio desiderio di provare a dare una risposta
all’articolo del professore Piero Dominici, che mi piace definire filosofo dell’innovazione
digitale, nel suo articolo “Per un’innovazione inclusiva: ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico”
L’articolo è stata occasione di rapidi non esaustivi twitter
e mi sembra opportuno chiarire meglio la mia idea che nasce da una lunga storia
personale tecnologica e dalla una cultura umanistica che risale ad un
lontanissimo Liceo Classico. Questi precedenti sicuramente condizionano i miei
ragionamenti che vorrei condividere non come critica al citato articolo, ma
come contributo alla comprensione …se mai ci riuscirò.
Nella parte iniziale dell’articolo Dominici dichiara: “Ma, pur cambiando profondamente la “natura”
degli strumenti, degli ambienti comunicativi e degli ecosistemi sociali, le
questioni sono le medesime: la nostra attenzione deve, pertanto, continuare ad
essere posta sulla qualità delle
relazioni comunicative (e dei processi educativi) e sui rapporti di potere (conoscenze, competenze, asimmetrie,
inclusione). È necessario comprendere tale (iper)complessità sociale evitando,
come detto più volte, di confondere i mezzi con i fini, il piano degli
strumenti con quello dei contenuti, ma soprattutto, evitando di ergersi a
giudici”.
Questa dichiarazione iniziale mi trova perfettamente d’accordo
soprattutto nell’ultima frase.
L’articolo poi è una particolareggiata e condivisibile elaborazione
dell’assunto iniziale, ma chiude con “…..chi
riuscirà a ricomporre la frattura tra l’umano e il tecnologico, di chi
riuscirà a ridefinire e ripensare la relazione complessa tra naturale e artificiale;
di chi saprà coniugare (non separare) conoscenze e competenze;
di chi saprà coniugare, di più, fondere le due culture(umanistica e
scientifica) sia a livello di educazione e formazione, ……” e
ritengo questa chiusa non completamente condivisibili soprattutto nelle
contrapposizioni che evidenzia e che è possibile io abbia frainteso.
Credo che la contrapposizione tra Umano e Tecnologico indichi
due termini non confrontabili, cioè quasi a voler dire che l’essere umano non
abbia capacità intellettive in grado di intendere gli strumenti, per quanto
complessi, che la tecnologia mette a disposizione.
“la relazione
complessa tra naturale e artificiale” mi sembra voglia
indicare che a causa della complessità del problema e della limitazione di
molte menti umane la conseguenza sia solo una chiusura del sapiente nella sua
torre d’avorio. Secondo me il sapiente deve essere capace di facilitare in modo
semplice la comprensione di fatti complessi che possono essere utili per vivere
meglio il mondo reale.
Non capisco, e ovviamente non condivido, la differenziazione
tra conoscenze e competenze. Secondo me esistono quattro livelli delle capacità
umane: ignoranza, conoscenza, comprensione e competenza. Lo homo sapiens li può
e li deve percorrere tutti: nasce ignorante, cresce conoscendo sempre di più,
comprende l’uso delle cose, impara ad usarle. Come per tutte le scale possono
esserci delle difficoltà a salirle, ma questa difficoltà non mina il valore
della scala e del risultato cui si arriva arrivando in cima.
Infine questa continua
contrapposizione tra “due culture(umanistica
e scientifica) sia a livello di educazione e formazione,…” mi sembra
solo un residuo di antichi approcci culturali al sapere da parte di paludati
accademici. Da oltre un secolo anche le più antiche accademia hanno riconosciuto
la conoscenza dei processi tecnici come massima espressione della mente umana.
Non credo che abbia senso contrapporre “la Divina Commedia” alla scoperta delle
Onde gravitazionali, sono vittorie dell’essere umano, essere bifronte nel quale
convivono poesia ed espressioni numeriche. Questo nostro mondo è sicuramente
ipercomplesso e la nostra capacità di utilizzo crescerà se, oltre ad una
educazione di base per l’utilizzo delle parole e dei numeri, seguirà la
formazione all’uso di strumenti tecnologici che facilitino la comprensione dei
complessi processi che possono facilitare la nostra vita.
Voglio concludere con Aristotile interpretato da s.Tommaso d’Aquino,
“in medio stat virtus” e quindi decliniamo la conoscenza con gli strumenti
della tecnica per facilitare un flusso infinito di innovazione reale e positiva.
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