Attilio A. Romita 31
marzo 2016
Lo spunto per questa nota è un articolo di
Nello Iacono su “Agenda Digitale.eu” del quale cito la introduzione “Dal Desi
2016 la situazione italiana sulle competenze digitali si mostra disastrosa e
non ci sono azioni di sistema che la stiano affrontando con l'adeguato
commitment politico……”.
Quasi tutte le professioni nel mondo hanno
avuto origine qualche millennio fa e quindi c’è stato tutto il tempo perché sia
stato possibile arrivare a definizione abbastanza esatte delle competenze e
delle responsabilità.
L’informatica, come
specializzazione professionale, è uscita dai laboratori e dagli studi di
qualche illuminato solo 60-70 anni fa e si è sviluppata in modo abbastanza
caotico e casuale: domanda ed offerta si sono inseguite senza alcun ordine.
Avendo speso tutta la
mia vita lavorativa ed oltre in questo settore credo di avere un punto di vista
privilegiato per fare alcune riflessioni sull’argomento.
Una prima suddivisione
netta si è avuta tra chi costruiva le macchine prima meccaniche e poi
elettroniche e chi costruiva gli strumenti per utilizzare queste macchine …e
questo è stato abbastanza semplice.
Molto più complessa e
fluida è stato da sempre lo sforzo di irreggimentare le competenze digitali:
una sempre maggiore differenziazione legata soprattutto alle sempre maggiori capacità
e prestazioni che gli elaboratori avevano.
All’inizio c’erano il
capocentro, il programmatore e l’operatore che spesso in pratica coincidevano
in una o due persone fisiche. Poi si aggiunse il sistemista che meglio
conosceva l’elaboratore e l’analista che meglio conosceva il processo
industriale. A queste qualifiche base si aggiunsero nel tempo aggettivi del
tipo senior, junior, esperto, allievo e simili.
Con questo caos
ordinato abbiamo convissuto oltre mezzo secolo anche se, di tempo in tempo, c’è
stato qualcuno che, giustamente, ha tentato di mettere un po di ordine per
garantire una certa definizione delle professionalità in un mercato nel quale la
domanda è stata sempre superiore all’offerta e quindi era favorito chi si
sapeva vendere meglio.
Negli ultimi anni la definizione
di uno standard è diventata necessaria per garantire anche all’industria uno
schema di valutazione e di garanzia per l’assunzione di specialisti.
Da poco più di un mese
è stato approvato a livello europeo uno schema di classificazione di base che si
articola su 5 macro aree suddivise su un totale di 40 specialità ciascuna
articolata su un massimo di 5 livelli. Per ognuna di queste oltre 100 caselle
sono state definite caratteristiche, competenze e schemi per la qualificazione. (download qui)
Si è passati da un
estremo all’altro: prima esisteva un caos ordinato ora esiste un ordine “caotico”
che molto probabilmente necessiterà di un periodo transitorio di alcuni decenni
durante i quali quella complessa tabella sarà sterilizzata per almeno il 50%.
La ragione di questa
mia previsione è semplice da spiegare: ogni specialista, per fare carriera,
dovrà passare il 50% del proprio tempo a “qualificarsi” cioè a studiare per
passare ad un livello successivo, ma questo tempo o va a scapito del lavoro
produttivo o deve essere trovato la notte e le feste. E tutto ciò è
irrealistico in un mondo nel quale la concorrenza è la maggior spinta verso il
successo.
Se lo sforzo per regolamentare
una professione fosse stato fatto in modo più realistico forse non si sarebbe
aggiunto un bel pezzo di pavimentazione alla via dell’inferno …quella lastricata
di buone intenzioni.
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