di Attilio A. Romita 18
ottobre 2016
Il
racconto di questo spettacolo mi piace iniziarlo con quanto scrive
Daniele Pecci nelle Note di Regia: “Il mio impegno è quello di
proporre uno spettacolo contemporaneo. Non già con l’intento di mediare (e)
sovrapporsi,… alla miriade di interpretazioni che dal 1601 ad oggi …..Elemento
nodale è il testo…: Leggermente tagliato …ma fedele, non alterato, e con una
traduzione … in una prosa semplice, scorrevole, di facile comprensione”
Dal punto di vista storico-teatrale esistono varie versioni
del testo che nella sua forma più ampia è rappresentato in circa 2 ore. Sin
dalle prime rappresentazioni seicentesche le Compagnie Teatrali hanno
realizzato versioni rielaborate e ridotte. Credo che Pecci, protagonista e regista
dell’attuale spettacolo , abbia raggiunto lo scopo che si era proposto e cioè “una messa in scena e una recitazione che si propongono di essere
vicine al nostro mondo…”.
In una scena
molto funzionale e fredda, a suscitare ambientazioni nordiche, gli attori si
alternano in vari momenti di interno ed esterno che evocano più che
rappresentare i momenti del dramma che si svolge alla corte usurpata del
vecchio Re Amleto che appare solo in forma di fantasma.
La trama del
dramma è abbastanza nota, e vorrei dire semplice: un Re ucciso dalla moglie e
dal suo amante usurpatore; un figlio che vuole vendicare il padre. Oltre un
millennio prima Agamennone, Clitennestra, Egisto ed Oreste sono stati
protagonisti delle stessa storia.
La maggior
parte delle messe in scena di Amleto hanno avuto un taglio epico. A tutti sono
noti monologhi come “Essere, non essere” oppure la pazzia di Ofelia o frasi
celebri come “c’è del marcio in Danimarca!”.
In questa versione
scenica si è voluto meglio rappresentare il dramma umano di Amleto che è
combattuto tra il desiderio di vendetta e l’amore filiale, tra l’amore per la
giovane Ofelia ed la consapevolezza di non poterla amare a causa dell’odio e del
dolore che non gli permettono altri sentimenti.
Per ottenere questi effetti il testo unico originale è stato trasformato in una serie di “siparietti” e brevi scene utili per narrare il dramma di Amleto che, ferito e chiuso nel suo dolore guarda dall’esterno, si logora al suo interno e osserva lo svolgersi degli eventi di corte sino all’epilogo finale quando, reso consapevole di quanto sta accadendo, si suicida.
Per ottenere questi effetti il testo unico originale è stato trasformato in una serie di “siparietti” e brevi scene utili per narrare il dramma di Amleto che, ferito e chiuso nel suo dolore guarda dall’esterno, si logora al suo interno e osserva lo svolgersi degli eventi di corte sino all’epilogo finale quando, reso consapevole di quanto sta accadendo, si suicida.
Inizialmente l’alternarsi di luci, suoni, monologhi e scene
sembra dare discontinuità scenica al dramma, ma rapidamente si entra nel
meccanismo scenico e tutto …torna a posto.
I personaggi hanno costumi moderni di epoca non ben definita:
anche questa scelta è funzionale per sottolineare più il dramma che si agita
nelle menti dei personaggi che l’azione teatrale in se stessa.
DANIELE PECCI è Amleto e MADDALENA CRIPPA è sua madre
Gertrude. Con loro Rosario Coppolino, Giuseppe Antignati e Sergio Basile ed
anche Mario Pietramala, Mauro Racanati, Marco Imparato, Mariachiara Di Mitri,
Maurizio Di Carmine, Vito Favata, Pierpaolo de Mejo, Domenico Macrì, Andrea
Avanzi.
I costumi sono di Maurizio Millenotti ed Elena Del
Guerra. L’aiuto regista è Raffaele Latagliata. Il disegno luci è di Mirko Oteri.
Adattamento e regia sono di Daniele Pecci.
Il pubblico molto folto ha gradito lo spettacolo sia con
applausi a scena aperta per i monologhi e le azioni più importanti, sia con forti,
ripetuti e convinti applausi che hanno chiuso lo spettacolo.
Si replica a Teatro Quirino di Roma sino al 30 ottobre.
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