di Attilio A. Romita 3
gennaio 2018
Eduardo, in una intervista del 1956 a Vittorio Buttafava, racconta che
l'idea di Filumena Marturano era stata questa notizia: “…una donna, a Napoli, era
riuscita a farsi sposare soltanto fingendosi moribonda. Questo era il
fatterello piccante, ma minuscolo: da esso trassi la vicenda ben più vasta e
patetica di Filumena, la più cara delle mie creature”.
Il “fattarello”
ha generato quella che mi sento di chiamare una tragedia a lieto fine …e non è
una contraddizione.
La tragica scena
di una morte è l’ultima espressione dall’amore materno per anni attuato con
sotterfugi e piccoli imbrogli contro la persona che una continua dedizione, ed
anche di amore, non avevano convinto a fare il passo ufficiale, il matrimonio,
che a quei figli avrebbe assicurato un futuro migliore.
Queste battute che
i protagonisti si scambiano all’inizio sono un perfetto ritratto dei loro caratteri.
Domenico Soriano urla: “Tu te ne
vaie... e si nun te ne vaie tu cu ’e piede tuoie, overamente morta jesce ’a ccà
dinto. Nun ce sta legge, nun ce sta Padreterno, ca po’ piega a Domenico
Soriano!”
Filumena, tranquillamente risponde: “Hè femuto?:Hè a dicere niente cchiù?”.
E su questo scontro di caratteri si svolge tutta la commedia
durante la quale i due protagonisti sembrano avere alternativamente la vittoria
e la sconfitta. Ed è Filumena che sapientemente dosa le sue “armi” per
ritornare vincente ed i tre figli sono i suoi strumenti e vengono citati la
prima volta quando rischia di essere cacciata da casa, ma Domenico Soriano è positivamente
disorientato da questa inattesa paternità. Quando poi l’avvocato le certifica
una sconfitta legale Filumena dichiara che solo uno dei tre figli è di Don Mimì
Soriano e l’uomo è di nuovo spiazzato per questa sua paternità diretta che non
si sente di disconoscere. Ed infine quando un vero matrimonio si sta per
celebrare e sembra che finalmente ci sia pace tra Filomena e Don Mimì, quest’ultimo
sembra voler far saltare tutto perché Filomena rifiuta ancora di rivelare il
vero figlio, ma, vero colpo di scena, i tre figli lo chiamano “papà” e questa
magica parola è la chiave del lieto fine. E Filomena, che per 25 anni è stata
sempre forte e non ha mai versato una lacrima, dichiara: “Dummì, sto
chiagnenno... Quant’è bello a chiagnere...”.
La comprensione di un dialetto napoletano abbastanza stretto
ha reso talvolta difficile capire alcune battute, ma la bravura degli attori ha
facilitato la comprensione del fluire dell’azione.
Vera protagonista è Mariangela D’Abbraccio nei panni Filumena
Marturano che ha visto altre illustri interpreti: Titina De Filippo, con
Eduardo, Regina Bianchi, ancora con Eduardo, Sofia Loren, con Mastroianni ed
infine Mariangela Melato con Massimo Ranieri.
Geppy Gleijeses è un perfetto Domenico Soriano in un
continuo alternarsi di sopportazione, scetticismo, odio ed infine amore per
Filumena.
Insieme a loro Mimmo Mignemi è Alfredo
Amoroso e Nunzia Schiano è Rosalia
Solimene, personaggio che nella
versione cinematografica fu di Tina Pica. I tre figli sono: Agostino
Pannone Umberto, studente, Gregorio Maria De Paola, Riccardo,
commerciante e Eduardo
Scarpetta Michele, operaio.
Ed inoltre Ylenia Oliviero è Diana, Elisabetta Mirra è Lucia e Fabio
Pappacena è L’avvocato Nocella.
Le scene ed i costumi sono di Raimonda Gaetani, le musiche di
Teho Teardo, le luci di Gigi Ascione e l’assistente alla regia è Marina Bianchi.
La regia è di LILIANA CAVANI che debutta in una regia
teatrale e nelle sue note dichiara: “Ho accettato l’invito generoso e ottimista
di Geppy Gleijeses quando mi ha proposto questo lavoro. È un testo che mi piace
moltissimo da sempre …”.
Uno spettacolo molto bello che il pubblico ha gradito e
sottolineato con molti applausi a scena aperta e tanti tantissimi applausi a
fine spettacolo.
Nessun commento:
Posta un commento