di Attilio A. Romita 1 gennaio 2018
L’anno 2017 si è
chiuso e tutti noi siamo portati a fare qualche considerazione su quello che è
stato e su quello che sarebbe potuto essere …e il bilancio quasi sempre ci
piace poco.
Questa fine anno
coincide anche con il termine di legislatura e in primavera fiorirà un nuovo
Parlamento. Già cominciano a fioccare le vecchie e nuove proposte, speranze,
parole d’ordine, intenzioni e …innovazioni.
Proprio su
Innovazione mi piace fare qualche riflessione forse banale, forse giusta, forse
illusoria, forse possibile.
Voglio partire dalla
definizione che l’Enciclopedia Treccani dà di questa parola: “L’atto, l’opera di innovare, cioè di
introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione ….
cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di
produzione…. “ e aggiunge come esempio “… in linguistica, ogni cambiamento fonetico, morfologico, lessicale,
sintattico, che ha inizio in un dato punto di un’area linguistica ad opera di
un individuo o di un particolare ambiente sociale, e che s’irradia quindi in
altre parti dell’area o in aree vicine, venendo a contrasto di volta in volta
con la situazione o le situazioni precedenti e superandole in grazia del
prestigio di cui gode il centro innovatore.”.
Mi sembra che appaia
chiaro che nel concetto di Innovazione è implicito il concetto di cambiamento,
di movimento, di ordine che però non deve limitarsi al solo cambio linguistico.
Ma per cambiare
occorre che si decida di cambiare, si abbia la forza di cambiare e si abbia la
capacità di cambiare. Nell’estatate 2014 un gruppo trasversale a tutto l’arco
parlamentare fondò “l’intergruppo parlamentare per l’innovazione tecnologica”
che doveva proporre e favorire azioni innovative identificabili secondo
definizione precedente. Cominciarono in 27 ed ora sono 100: un buon numero che
avrebbe potuto incidere sulle decisioni. Da subito gli Innovatori furono attivi
nelle Commissioni e nei rispettivi Partiti, ma ben pochi li prendevano in
considerazione perché …non li capivano o non volevano capirli. La storia di
questo intergruppo è esemplare. Una collaborazione attiva di esperti reali che praticamente non
sono riusciti a quasi nulla perché troppi loro colleghi semplicemente non
capivano di cosa parlassero (vedi “Lacomunità dei politici innovatori” di Giuseppe Iacono, StatiGenerali dell'Innovazione )
.
“Innovazione tecnologica”
coincide per molta parte con tutti gli strumenti, i processi, le
capacità legate all’uso che la tecnologia digitale ci mette a disposizione.
Tutto questo armamentario è praticamente sconosciuto a moltissima parte dei
nostri concittadini e dei nostri rappresentanti parlamentari. Non diverso è il
tipo di conoscenza, o meglio di ignoranza, che hanno i miei connazionali. Molti
pensano che essere in una chat di whatsapp li qualifichi come esperti di
innovazione digitale. Un buon gruppo di nostri parlamentari pensa ritiene di
essere innovatori digitali perché partecipano a un blog cui affidano
democraticamente le decisioni …votate da qualche decina di amici. In tanti
parlano di innovazione e società 4.0 e i più esperti spiegano viene dopo quella
2..0 e 3.0 …e non sanno altro.
Le statistiche ci
dicono che in Italia circa il 50% di noi usano Internet almeno una volta al giorno.
Esclusi i molto giovani, che per età …hanno scarsa voce in capitolo, questa percentuale
peggiora e quindi dobbiamo applicarla, anche se con minime variazioni, a tutte
le diverse situazioni e persone che ci circondano compresi i nostri
rappresentanti parlamentari che per evitare di fare errori innovativi evitano
di prendere decisioni e rimandano. .
Poco più di due anni
fa gli Stati Generali dell’Innovazione hanno prodotto il libro “ Le parole dell’Innovazione (che un politiconon può ignorare).”. Pur avendo condiviso l'iniziativa non ho condiviso il formato dell’edizione finale che lo fa sembrare più un
catalogo di supermercato che una pubblicazione di diffusione culturale, ma
sarebbe comunque importante che politici vecchi e nuovi lo leggessero.
Gran parte dei
processi innovativi si basano su strumenti digitali e questo indica ovviamente la
necessità di “competenze digitali”, ma, secondo me, occorre ben definire queste
modalità e livello di queste competenze. Chi costruisce i nuovi processi deve
sapere di progettazione, programmazione, sistemi informativi come chi progetta
automobili deve essere ingegnere. Chi pensa a nuovi processi deve conoscere le
capacità del digitale per essere realistico, come chi pensa a nuove auto deve
avere basi tecnologiche e nozioni di marketing. Poi per usare i nuovi sistemi
bisogna “prendere la patente” come quando ci accingiamo a guidare la prima
volta un auto. Seguendo l’esempio automobilistico i nostri decisori e larga
parte dei miei concittadini sono al livello del triciclo o poco più.
Una soluzione
potrebbe essere la bacchetta magica, ma purtroppo non è stato ancora inventato
questo dispositivo.
Tra venti anni i
millenials, quelli nati dopo il 2000, avranno forse raggiunto posti di comando
e le cose potrebbero cambiare. Per adesso, per non restare neandhertaliani digitali
dovremmo cominciare una operazione di cultura digitale diffusa che stimoli
curiosità, conoscenza e necessità di nuove soluzioni e, quando saremo nel
chiuso della cabina elettorale, dovremo pensare a votare un nostro
rappresentante che vada un po’ oltre tweetter, facebook e whatsapp.
Buon 2018 a tutti
noi.
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