di Attilio A. Romita 23
gennaio 2018
«Io conosco solo me stesso e non posso che parlare di me!».
Così raccontava di se Augusto Strindberg e questa opera, più che un dramma
classico come lui avrebbe voluto, mi sembra una tormentata descrizione delle
sue esperienze come marito.
“Mater semper certa est, pater numquam”, questa antica massima giuridica potrebbe
essere il sottotitolo del Padre di Strindberg.
L’opera presenta una continua inversione di ruoli: il
Capitano, all’inizio, sembra il despota di una famiglia nella quale le donne
rappresentano la maggioranza silenziosa; con il passare dell’azione si scopre
che il protagonista per sopravvivere è quasi costretto a rinchiudersi nei suoi
studi e mantiene il suo piccolo potere solo perché minimamente controlla i
cordoni della borsa.
La crisi arriva e si scatena quando il Capitano vorrebbe
sottrarre la giovane figlia al potere soffocante della madre permettendole di
continuare i suoi studi in città.
Questa posizione scatena nella Madre tutta la perfidia nei
riguardi del marito: inizia ad instillare in lui il terribile dubbio sulla sua
paternità e lo fa in modo subdolo, mai diretto, affermando e negando. E questo
dubbio aggredisce la mente del Capitano che più cerca certezze e più trova
mezze verità solo accennate: la strada per scatenare la pazzia è aperta.
Il dramma si avvia alla tragica conclusione quando la Madre
scopre che può sfruttare la pazzia con una azione di interdizione che gli
toglierebbe anche l’ultimo suo piccolo potere economico.
Gabriele Lavia, che ha curato anche la regia, mostra tutte
le sue capacità di interprete che passa con bravura dalla rappresentazione del
Capitano, alla tenerezza del Padre e del Marito, del ritorno all’infanzia nelle
braccia della sua tata ed infine è l’uomo che si sente tradito da tutto e da
tutti e per questo impazzisce e finisce.
Federica Di Martino è
la Madre perfettamente adeguata al ruolo: un aspetto dolce e soave che non
rivela mai apertamente il suo carattere e le sue trame.
Completano il quadro Giusi
Merli, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Anna Chiara Colombo, Ghennadi
Gidari e Luca Pedron.
Le scene sono opera di
Alessandro Camera: il primo atto è
l’interno di una casa benestante con mobili realizzati per dare uno strano
effetto prospettico; il secondo atto è una surreale scena drappeggiata di rosso
quasi a rappresentare l’inferno nel quale piomba il protagonista.
I costumi sono di
Andrea Viotti, le musiche di Giordano Corapi, le
luci di Michelangelo Vitullo.
A fine spettacolo tanti
convinti applausi e due sentimenti negli spettatori: uno reale per la bravura
di Lavia ed uno riflesso per il personaggio della Madre, una Ape Regina che
tutto divora quando rischia di veder messo in dubbio il suo potere.
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