di Attilio A. Romita 18
febbraio 2018
Tutte le professioni ed i mestieri, o meglio, tutti i campi
dello scibile e della esperienza umana nel tempo sono cambiati e si sono
evoluti in funzione del miglioramento delle conoscenze e dello sviluppo degli
strumenti a disposizione. Guardo con grande ammirazione i chirurghi egiziani
che, praticamente alla cieca, operavano il cervello umano o gli antichi
matematici greci che riuscirono a calcolare la distanza tra la terra e la luna
ed anche i gli ingegneri romani capaci di costruire lunghissimi acquedotti con
pendenze perfette … e non avevano neppure il regolo calcolatore. A proposito:
quanti moderni tecnici saprebbero far calcoli con quei due righelli sovrapposti
che noi vecchi usavamo per calcolare approssimativamente tre per otto.
I millenni sono stati il terreno di coltura per far
sviluppare e migliorare la conoscenza e l’uso della conoscenza stessa.
Verso la fine del 1800 Hollerit, per fare un censimento in
America, introdusse le schede perforate da usare con delle macchine
elettromeccaniche.
Ottanta anni fa un ingegnere tedesco, Konrad Zuse, costruì
il primo elaboratore a valvole, lo battezzò Z1 e, praticamente dette inizio
all’era digitale.
Intorno al 1950 furono inventati i transistor e fu possibile
costruire dei computer che potevano essere installati in una stanza e non in un
palazzo.
Da quegli anni è iniziato un cambiamento ed una evoluzione
velocissima che ha toccato e cambiato tutti i modi di pensare, di progettare,
di costruire e di usare la tecnologia per fornire strumenti utili e rendere più
veloci e sicuri i processi e quantomeno a
per rendere meno faticose e …noiose molte attività.
Il rapporto tra due secoli ed almeno 2 millenni rende
abbastanza comprensibile una certa “complessità” nella definizione delle
“competenze digitali”.
Quando, nel 1966, ho iniziato a lavorare in un Centro
Meccanografico, allora si chiamavano così, esistevano solo Capi Centro,
Programmatori ed Operatori ed il lavoro si imparava sul campo e per mezzo di
qualche corso di una due settimane.
Già dopo dieci anni entrarono in campo sistemisti ed
analisti tutti …autodidatti.
Negli anni successivi, man mano che le macchine diventavano
più potenti e complesse, le cose da sapere sono diventate tante ed è iniziata
la specializzazione e, soprattutto, è nata la necessità di imparare a progettare
sistemi utili per l’automazione di processi industriali e gestionali.
Questo velocissimo cambiamento della richiesta ha prodotto
un rapido sviluppo dell’offerta culturale che non sempre era correttamente
definita ed adeguata per fornire una sufficiente garanzia di conoscenza.
Al fine di tentare la miglior definizione delle competenze
digitali l’indirizzo “tecnologico” ha spesso guidato chi cercava in qualche
modo di fissare chi è un “competente digitale” e cosa deve “saper fare”. Questo
approccio ha descritto tutta una serie di figure standard a mio punto di vista
congelate e talvolta legate ad aspetti tecnici di una materia che in continua
evoluzione che rende obsoleti strumenti e tecniche in un arco di 10 anni. Oggi,
ma forse già da vari lustri, dobbiamo ripensare tutta la “competenza digitale”.
Io credo che occorre affrontare le differenti culture di cui
si compone il modo digitale per poterle esaminare separatamente e per poter
definire cosa si deve sapere per arrivare a soluzioni valide.
Un processo digitale si costruisce conoscendo quali sono i
risultati cui deve arrivare partendo dalle risorse, cognitive ed economiche,
che si hanno disposizione.
All’inizio di questa nota ho scritto quattro parole: pensare,
progettare, costruire, usare la tecnologia, secondo me ad ognuna corrisponde un
tipo di competenza, cioè di preparazione teorica e pratica:
·
Pensare è chi, conoscendo “le
prestazioni del digitale” e le necessità degli utenti è in grado di esplicitare
i criteri di disegno di un sistema in grado di dare risposte reali alle
necessità stesse. Deve essere una figura di alto livello e non è necessario che
sia un tecnico.
·
Progettare è chi conosce i
sistemi digitali ed anche “il linguaggio degli utenti”. Deve essere in grado di
disegnare un sistema realizzabile con le tecnologie più avanzate, ma che risponda
alle richieste funzionali ed economiche del Cliente.
·
Costruire è un insieme di
tecnici a vari livelli in grado di realizzare praticamente il progetto avendo
acquisito conoscenze specifiche sulle caratteristiche dello hardware e del software
e avendo capacità di costruire sistemi che garantiscano un funzionamento sicuro
ed efficiente. Per questi tecnici deve essere richiesto un aggiornamento
continuo garantito da specifici standard internazionali. E’ questa l’area di
più difficile definizione per un settore “liquido”, cioè nel quale i
cambiamenti radicali sono continui. Credo che si dovrebbero tentare degli
“standard logici” indipendenti da termini, sigle e prodotti specifici. La
certificazione continua a nuove “tecnologie” potrebbe essere utile parametro di
qualificazione.
·
Usare è un insieme di operatori
a vari livelli e responsabilità e capacità che sono in grado di usare
efficientemente il sistema e di insegnarne l’uso ai colleghi.
Le prime tre competenze digitali devono essere acquisite
sulla base di percorsi scolastici, anche superiori, e di esperienze sul campo. La
capacità di usare può essere acquisita con brevi corsi ed esperienza sul campo.
E’ importante sottolineare che le “proto competenze”
Pensare, Progettare, Costruire, Usare non solo ne una scala gerarchica, ne
gabbie gettizzanti ed il passaggio da una all’altra e, soprattutto, la stretta
collaborazione attiva devono essere la caratteristica base di tutte.
Mi rendo conto che queste mie affermazioni sono poco
comprensibili a chi pensa solo a leggi burocratiche piene di mille particolari,
dettagli, norme, contronorme che si ritiene possano normare tutto e,
specialmente in un campo in evoluzione rapidamente continua, rendono possibile
tutto ed il contrario di tutto.
In conclusione credo di poter dire che, ancora oggi come
cinquanta anni fa, la competenza non si acquisisce solo sui banchi scolastici e
con corsi specialistici, ma con tanta esperienza sul campo e tanta voglia di
apprendimento per un settore in cui oggi è già l’altroieri e domani rapidamente
diventa ieri. Poi tra un altro quarto secolo, quando i nuovi venuti avranno
cominciato a digerire il “pensiero computazionale” insieme all’alfabeto,
potremo riaprire il discorso di capire ed identificare bene chi sa fare bene qualcosa.
E’ vero che in questo modo ci sono rischi di sopravvalutazione
e sottovalutazione, ma non siamo in grado di fermare il mondo.
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