Negli ultimi tempi sono state lanciate molte idee, riflessioni, proposte
e critiche sul cambiamento delle regole che guidano il mondo del lavoro. Una su
tutte: “arrivano i robot sostitutivi del lavoro umano manuale, e non solo, con
la conseguenza di avere masse enormi di disoccupati affamati.
A questa visione catastrofica spesso viene data una risposta
falsamente consolatoria: le tipologie di lavoro si evolvono e chi è cacciato
dai campi e dalle fabbriche sarà assorbito dall’informatica!
Ovviamente questa visione di vasi comunicanti che si equilibrano è solo una approssimazione semplicistica di uno dei tanti cambiamenti profondi che sono avvenuti nella storia dell’uomo.
Ovviamente questa visione di vasi comunicanti che si equilibrano è solo una approssimazione semplicistica di uno dei tanti cambiamenti profondi che sono avvenuti nella storia dell’uomo.
A proposito, per eliminare false interpretazioni “di genere”
non legate al tema in discussione, dichiaro che nel seguito di questa nota mi
atterrò alle regole grammaticali italiane che prevedono due generi anche per
gli oggetti e non userò strani artifizi sintattico-grammaticali per sembrare “politically correct”.
Sin dall’inizio della storia del mondo ogni uomo si è reso
conto che non sarebbe mai stata possibile una assoluta autosufficienza del
singolo. Questo dato di fatto ha condizionati tutti i cambiamenti di circa 2,5
milioni di anni.
Dapprima, quando gli aggregati umani erano molto piccoli (la
famiglia e la tribù), non esisteva una reale differenziazione di compiti che in
pratica erano solo la caccia, la cura del campicello e la custodia dei figli.
Man mano che i gruppi si allargavano è iniziata la
specializzazione cioè sono nati compiti e soluzioni specifiche: sono nati i cacciatori,
gli agricoltori e chi curava la famiglia e per un lungo periodo il baratto era
alla base alla condivisione delle risorse. Con buona approssimazione questa
modalità di scambio dei beni è durata più o meno 2 milioni di anni.
Poi, circa 700 anni a.C., cominciarono a circolare degli
strumenti intermedi di facilitazione degli scambi cioè l’archetipo della
moneta: io ti do 2 cavoli per un sacchetto di sale e poi “compro” con quel sale
…un coscio di agnello. Nei secoli successivi, man mano che gli uomini
cominciarono a viaggiare, a conoscere nuovi popoli e nuovi “prodotti” si resero
necessari nuovi strumenti di pagamento accettati e condivisi da tutti: le
“monete” basate su metalli preziosi e garantite da re e imperatori furono
inventate
Nei successivi 2000 anni il “baratto” internazionale si sviluppò
e aumentò la quantità di monete “fisiche” circolanti: occorreva inventare
qualcosa di semplice e sicuro per facilitare il commercio. I commercianti
fiorentini e fiamminghi fecero allora un primo accordo ed inventarono le
“lettere di credito” cioè un documento che certificava che presso la sede di
partenza era depositata una quantità d’oro la cui proprietà poteva essere
spostata dal compratore al venditore estero e questo cambiamento era
certificato dal semplice passaggio della “lettera di credito”. Erano state
inventate le banche che secondo tempi e regole ben definite effettuavano una
compensazione tra crediti e debiti internazionali.
A questo punto entra in gioco un’altra figura importante: il
lavoratore dipendente, cioè colui che in cambio del lavoro fisico per produrre
un bene riceve del denaro che può usare per acquistare beni prodotti da altri.
In un mondo ideale potrebbe esserci un perfetto equilibrio
tra “industriali”, cioè chi controlla la produzione, “banche”, che favoriscono
l’interscambio dei costi e delle remunerazioni, e “forza lavoro” che esegue una
produzione a fronte di una remunerazione.
In un modo reale avvengono fenomeni diversi che spesso sono
contemporaneamente positivi e negativi e che gli attori “sfruttano per portare
acqua al proprio mulino” perché solo nelle favole tutti sono santi e buoni.
Nell’analisi di massima che segue userò “termini concettuali
riepilogativi” che vanno ben oltre il loro significato letterale e che ritengo
utili per evitare poco utili discettazioni semantiche: vorrei essere semplice,
ma non semplicista.
Gli “industriali” cercano di sviluppare al massimo la
produzione sia, positivo, migliorando i processi produttivi, sia, negativo,
sfruttando al massimo chi praticamente produce.
Le “banche” cercano di aumentare i guadagni di chi deposita
il denaro presso di loro, positivo, prestando il denaro necessario per
migliorare la produzione e, negativo chiedendo tassi d’interesse elevati che
alla lunga deprimono la produzione.
La “forza lavoro”, positivo, si unisce per avere un
miglioramento della “remunerazione” a fronte dell’aumento della redditività
della produzione e, negativo, avendone la forza, cerca di andare oltre…..
L’equilibrio ed il disequilibrio di queste tre componenti ha
caratterizzato il mondo praticamente negli ultimi quattro secoli. Quasi sempre
i momenti di disequilibrio sono iniziati quando, a seguito dell’introduzione di
un processo produttivo nuovo, si sono manifestati tre fenomeni: la “produzione”
aveva un maggior rendimento (minor tempo, e quindi costo, per unità di
prodotto) e quindi maggior guadagno che non avrebbe voluto condividere; le
“forze lavoro” temevano una riduzione dei posti di lavoro e volevano comunque
partecipare al miglioramento della produzione. Come per tutti i fenomeni fisici
la perturbazione dovuta all’innovazione, dopo una fase critica iniziale, si
riduce ed un nuovo equilibrio si raggiunge.
Se osserviamo cosa è avvenuto negli ultimi secoli vediamo
che le condizioni di vita di tutti sono migliorate, le ore di lavoro
giornaliere sono diminuite, molti mestieri faticosi sono spariti, molti modi di
lavoro sono cambiati e, forse, viviamo un po meglio al netto di cosa dicono i
cantori del buon tempo antico.
E torniamo ai robot!
In questo momento circola insistente la paura che i robot
sempre più specializzati possano sostituire TUTTI i lavori manuali ed anche
qualche lavoro intellettuale.
La risposta più facile ci racconta che tutti gli operai
diventeranno informatici costruttori di robot. Sappiamo tutti che ciò non è
vero e che la riconversione non potrà essere totale.
Cosa succederà allora?
Torniamo a qualche ragionamento fatto più sopra.
La “produzione” guadagna se riesce a “vendere” quello che
produce quindi, se un robot produce meglio di 10 operai, questa produzione deve
essere acquistata, ma, se i 10 operai sono disoccupati, chi comprerà quella
produzione? E’ vero, è un discorso semplicistico, ma forse dovrebbe stimolare
la riflessione degli “esperti sfortunati”!
Molto probabilmente una soluzione ci sarà: forse 4 di quegli
operai licenziati si riconvertiranno e forse gli altri 6, insieme ai non
licenziati, lavoreranno un po’ meno ore, e la “produzione” potrà continuare a
vendere e soprattutto a guadagnare.
Non so quanti condivideranno questi miei pensieri, ma, vi
chiedo vivamente, se non li condividete, leggeteli una seconda volta e poi
criticateli.
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