di Attilio A. Romita 7
novembre 2018
Partire
è un po’ morire
rispetto
a ciò che si ama
poiché
lasciamo un po’ di noi stessi
in
ogni luogo ad ogni istante.
Forse
Pirandello aveva letto questa poesia di Edmond Haracourt, suo contemporaneo, quando decise di scrivere il “Fu Mattia Pascal”, ma con l’idea di ribaltarne il senso:
morire per partire lasciando un po’ di se stessi dove si era vissuti. Il
romanzo dal quale è stato tratto lo spettacolo può essere riassunto in una
frase: quando la vita si complica la soluzione semplice è la fuga facilitata da una finta
morte.
Mattia Pascal, erede
scapestrato di una ricca famiglia, ha dilapidato tutto il suo patrimonio ed è
ridotto a lavorare in una vecchia e polverosa biblioteca. La notizia della sua
falsa identificazione con un affogato è la molla per la sua fuga. Con il
ricavato della vendita forzata dell’ultima sua proprietà fà una sua ultima
scommessa al Casinò e vince una somma spropositata che facilita la sua
partenza. Sparisce Mattia Pascal e nasce Adriano Meis. Tutto procederebbe per
il meglio se l’amore, che era stata una delle cause della fuga, non complicasse
la vita di Adriano sul punto di sposare Adriana, che lo ospita nella sua casa.
Ma come si può sposare una identità “inventata dal nulla”? Un provvidenziale
finto suicidio ed una nuova fuga riportano in vita Mattia Pascal e lo
reimmergono nella vita che aveva tentato di cancellare.
Così raccontato il romanzo potrebbe essere la trama di una moderna fiction,
nelle mani di Luigi Pirandello è una analisi dettagliata del dramma di un uomo
che vorrebbe sfuggire la sua natura e che gli avvenimenti, l’indole, pregi e
difetti riportano sempre al …capolinea.
Per mantenere anche nella finzione scenica la doppia storia
ogni attore interpreta due personaggi simili nella prima vita di Mattia Pascal e
nella seconda di Adriano Meis.
Daniele Pecci, che con il regista Guglielmo Ferro ha curato
l’adattamento dal romanzo, è Mattia Pascal
ed Adriano Meis ed è praticamente
sempre in scena impegnato in un racconto continuo degli avvenimenti che
coinvolgono le due facce del protagonista.
Rosario Coppolino è Don
Eligio con Mattia e Anselmo
Paleari con Adriano; Adriano
Giraldi è Batta Malagna prima
e Pantegada dopo; Diana
Höbel è la vedova Pescatore
e la signorina Caporale; Marzia
Postogna è Romilda Pescatore
e Adriana Paleari. Giovanni
Maria Briganti è Pomino e
il giovinetto al casinò; Vincenzo
Volo è Terenzio Scipione; Maria Rosaria Carli è Pepita e La donna del casinò.
Portare in scena un
romanzo crea non pochi problemi agli sceneggiatori che devono creare scene molteplici
che debbono essere cambiate rapidamente. Il problema è stato risolto con quinte
tridimensionali mobili, cioè con dei grandi parallelepipedi su ruote le cui
facce sono diversamente decorate e che possono essere collocati diversamente a
seconda delle necessità. Oltre questi solo un paio di sedie ed un tavolo.
Queste scene sono state curate da Salvo Manciagli.
I costumi sono di Françoise
Raybaud e le musiche di Massimiliano Pace.
Le circa due ore di spettacolo sono state seguite con
attenzione da un pubblico interessato che ha sottolineato applaudendo alcuni
passaggi e, alla fine, ha richiamato molte volte gli attori sul proscenio per
ringraziarli per una interessante serata.
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