di Attilio A. Romita 30 ottobre 20
Nella sue note di
regia Monica Guerritore dichiara: “Nell’Anima Buona di Sezuan c’è un piccolo
popolo di abitanti che è tutti i luoghi del mondo: …….. Nel mio spettacolo sarà
forte l’influenza del mio Maestro.”.
Questa dichiarazione
offre la chiave di lettura di questo spettacolo.
Brecht ha scritto
questa opera tra il il 1938 e il 1940 quando in Germania era da poco andato al
potere il nazismo dopo anni di forte decadimento economico e la “ricerca di un
giusto” è forse l’espressione della illusione di Brecth che colloca l’azione in
un mondo lontano come per evitare un parallelo con la Germania.
Monica Guerritore ha
voluto fare un omaggio a Strehler riprendendo l’apparato scenico che il grande
regista aveva costruito nei primi anni ’80.
In questa nota, che
è solo il racconto di uno spettatore, vorrei tener ben distinti tre piani: il
testo, la messa in scena, la bravura di protagonisti.
“L’anima buona di Sezuan” potrebbe essere definita una
favola triste ed una parabola sulla incapacità umana di essere buoni.
La storia è abbastanza semplice. Sezuan è una lontana
provincia cinese dove, povera tra i poveri, abita Shen Te, una donna
fondamentalmente buona che, per vivere, si prostituisce. Come nelle favole a
Sezuan arrivano, come deus ex machina, tre dei impegnati nella ricerca di una
persona giusta e buona. Shen Te è l’unica che ha i requisiti per ricevere il
premio divino che si consolida in una grande somma di denaro. Come succede
nella realtà Shen Te è incapace di gestire questa fortuna e cade preda di
sfruttatori e parassiti. Il culmine si ha quando si innamora di un “aviatore”
che si rivela un imbroglione. A salvare la situazione interviene Shui Ta,
cugino cattivo di Shen Te, che la aiuta a risolvere le situazioni. Ma Shui Ta
non è altro che il travestimento disperato di Shen Te per superare l’emergenza e
la protagonista torna ad essere la disperata “anima buone di Sezuan”.
Per raccontare questa favola tragica Strehler prima e la
Guerritore oggi usano una scena nella quale campeggia una sorta di baracca “la
Tabaccheria” simbolo della conquistata autonomia economica della protagonista.
Attorno alla fatiscente costruzione si muovono in un continuo balletto un po’
barocco, e talvolta come marionette, tutti i personaggi sino al finale quando a
Shen Te, tragicamente sola, non resta che una accorata disperazione.
Monica Guerritore, che
si è ispirata all’edizione di Giorgio Strehler a Milano nel 1981, ha
curato la regia e si prodiga con la bravura che le è propria per disegnare i
due personaggi chiave: ShenTe, “l’anima buona” e Shui Ta, l’anima nera,
necessaria per sopravvivere.
Matteo
Cirillo è Yang Sun, un aviatore senza lavoro e il falegname LinTo; Alessandro
Di Somma è il Secondo Dio e il bambino/la vedova Li; Vincenzo Gambino è Wang,
un venditore d’acqua e il fratello zoppo ; Nicolo’ Giacalone è il barbiere Shu
Fu e il marito; Francesco Godina è il poliziotto, il nipote gagà e il Primo
Dio; Diego Migeni è il Terzo Dio e la
Signora Mi Tzu; Lucilla Mininno è la Signora Yang e la moglie.
Le scene nascono da un’idea di Luciano Damiani, il disegno
luci è di Pietro Sperduti, i costumi di Valter Azzini. Il direttore
dell’allestimento è Andrea Sorbera e la collaborazione musicale di Paolo
Danieli. Assistente alla regia è
Ludovica Nievo con Leonardo Buttaroni regista assistente.
A fine spettacolo tanti applausi e commenti che si
incrociano sul tema generale che la bontà d’animo non è sempre una buona
consigliera e che un po’ di cattiveria è necessaria, sulla bravura degli
artisti, e principalmente della Guerritore, nel raccontare e i personaggi e,
soprattutto i più anziani, che ricordavano le precedenti messe in scena de “L’anima
buona di Sezuan”.
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