Flavio Impelluso 7 ottobre 2020
Negli anni ’70
eravamo ad Hong Kong, mia moglie ed io, con un piccolo gruppo di colleghi
dipendenti di compagnie aeree, e ricordo che sguazzavamo liberi per la città
come anatre in uno stagno, perché, anche se immersi in un contesto di vita
estranea e caotica, noi turisti galleggiavamo a nostro piacimento, tranquilli e
sicuri ma non avulsi, anzi partecipi della vitalità che ci circondava. Tra
mille altre, una cosa che mi colpì fu il continuo movimento sui marciapiedi,
piccole maree umane mobili come risacca, non c’erano persone ferme o
capannelli, correvano sempre tutti indaffarati: in realtà non correvano
veramente, mi fermai per capire, era come se facessero passi corti ma veloci,
anche gli anziani, e dava l’idea di un piccolo trotto rapido.
Mi dicono che oggi
Hong Kong si è molto standardizzata ed ha perso parecchio del suo colore, non
differisce molto da tante altre megalopoli orientali, enormi grattacieli e
grandi alberghi, allora no: pur essendo colonia britannica dalla metà dell’800
era una città totalmente cinese, anche perché la disparità numerica era tale
che la presenza britannica – non fosse stato per l’episodio finale – era poco o
per nulla percepibile, e questi miei ricordi affondano in un contesto cinese.
Non so invece
descrivervi com’era la città in sé, cioè se fosse bella o brutta, perché al di
fuori dei luoghi panoramici iconici - il picco, la baia, sicuramente
spettacolari - il resto non lo ricordo bene, ma era l’atmosfera, come dicevo,
ad essere particolare, era come vivere in una festa continua e “parteciparvi”,
anche non facendo niente, magari andando solo per vetrine.
Io in particolare
godevo di quell’atmosfera perché rivivevo i luoghi dell’epopea di Dirk Struan,
il Tai Pan dei romanzi di James Clavell, e qualche volta mi scoprivo persino a
cercare nella folla un volto, o cercavo di capire da dove partivano un secolo
prima i clipper di Dirk per portare il thè a Londra: lo so che è una stupidata
da ragazzini, ma…. se qualcuno di voi è un appassionato di libri gialli
“inglesi”, dica la verità, quando è passato per la prima volta dinanzi al
triangolo rotante di Scotland Yard a Londra, non ha sentito dentro un qualcosa
di strano, di assurdamente familiare? Be’, Hong Kong mi faceva questo effetto.
Il giorno della
partenza il gruppo si scompose come di norma per le ultime spese, in attesa di
ricongiungersi in albergo per andare in aeroporto: con mia moglie decidemmo di
andare a fare una passeggiata solitaria e romantica per la baia, proposito
molto poco realistico in quel caos. Comunque, ad un certo punto ci trovammo ai
traghetti e decidemmo di prenderne uno per goderci un’ultima traversata della
baia.
Individuato
l’imbarcadero per Kowloon, stavamo per salirvi quando ci si avvicina un
militare inglese, divisa coloniale eppure elegantissimo, calzoncini al
ginocchio e calzettoni, ricordo che era rosso di capelli, coi baffoni, modi
molto gentili e sguardo azzurro freddino, ci intercetta, dicevo, si tocca la
visiera con un bastoncino che aveva in mano e dice: “Not for you, sir” e ci
indica un altro attracco vicino. Un attimo di smarrimento, poi comprendiamo:
stavamo per prendere un traghetto dei locali, noi bianchi dovevamo viaggiare su
quello a noi riservato. Era l’apartheid.
Ecco, tra i tanti
modi in cui quel fine mattinata ad Hong Kong potrebbe essere ricordato - con
sdegno postumo per l’apartheid, o di fastidio perché rischiavamo di perdere
l’ultima vista della baia, o in qualsiasi altro modo possibile - io ricordo che lo vissi abbandonandomi
completamente al momento, e godendone appieno, gli odori del porto e la
confusione, le frotte di cinesi che sembravano non fermarsi mai e
trotterellavano indaffarati, ed il
sottofondo del loro cicaleccio, la baia stupenda, la figura dell’ufficiale
inglese, l’apartheid, l’atmosfera incantata - amara se volete eppure
malinconicamente dolce - della vita in quella colonia britannica……
Ancora oggi, dopo
tanti anni, non modifico mai i miei ricordi modellandoli alla luce di più
moderne – forse anche socialmente più valide – visioni della vita: i miei
ricordi sono quelli, sono legati a quei momenti, sono pezzi di storia. Sono la
mia storia. Cose così sono il vero tesoro dei miei viaggi.
Hello
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