RIFLESSIONI.
Flavio Impelluso. 15 dicembre 2020
ESCHILO E LA BIBBIA
A me è capitato recentemente leggendo un articolo su
una rivista di storia ed archeologia, parlava di Eschilo e della tragedia con
cui aveva reso immortale il mito dello sciagurato Titano, il Prometeo Incatenato:
e infatti dal parcheggio di cui sopra sono balzati fuori quasi in automatico
Titani, avvoltoi e catene. Ma, confesso, la memoria era un po’ arrugginita,
perché nonostante il Prometeo me lo fossi sorbito tutto, credo al Ginnasio, me
lo ricordavo confusamente come una fase delle lotte per il potere nel pantheon
greco, Crono e Zeus, la Terra ed i Titani, tutto un guazzabuglio di lotte e
feroci vendette.
Ma non mi ricordavo, o forse a 15 anni non lo avevo
proprio compreso, il profondo significato insito nel dono di Prometeo, a me
allora era sembrato una delle classiche leggende con cui nell’antichità si
ammantavano le vicende umane - nello specifico la scoperta del fuoco – con
racconti fantasiosi, e certo farlo donare all’uomo da un Titano ribelle era più
bello ed immaginifico che non attribuirlo a mera casualità. E così, spinto dai
ricordi, riprendo in mano Il “Prometeo incatenato” e, pur con qualche salto di
impazienza, arrivo al punto del dialogo con le ninfe Oceanine, dove è Prometeo
stesso che tra gli spasmi della sua eterna pena confessa alle ninfe di aver
dato agli uomini (col fuoco) le chiavi del sapere.
E qui la ribellione ed il dono esprimono tutto il loro
potere trasgressivo perché il fuoco ha una sua duplice valenza: per un verso la
concretezza, dato che è con il fuoco che l’uomo inizia a progredire, ma anche
l’affrancamento dall’ignoranza, perché il fuoco è il simbolo della luce del
sapere. Questa è la vera sfida che gli dei temono, questa è la ragione dell’ira
di Zeus e della terribile punizione che infligge al Titano. E qui le rotelle un
po’ ossidate mi si rimettono un po’ in moto, e qualcosa riaffiora alla memoria:
ma io ‘sta storia l’ho già sentita, mi sbaglierò ma il fatto degli dei che
vogliono tenere per sé il sapere e non vogliono condividerlo in toto con gli
uomini, anzi li minacciano di morte, non mi è nuovo.
E infatti: Bibbia, Genesi (2, 15-16), lo schema è
identico: il sapere è patrimonio Divino, Dio ne regala una parte all’uomo, ma
se l’uomo trascendesse il donato “…certamente ne morirebbe.” Così si conclude
quel passo della Genesi.
Vabbe’, direte, e dov’è la stranezza? Che gli uomini
proiettino sugli dei una visione “umana” dei rapporti ci può stare, e così pure
che l’uomo nella sua continua ricerca del sapere si renda conto che “sconfinare”
potrebbe essere pericoloso, e quindi si autoimponga un limite ultraterreno.
Certo, e infatti non è questo che mi ha stupito: quello che mi è sembrato
strano è stata la constatazione che questo concetto nasca praticamente uguale
tra i Greci e tra gli Ebrei, due popoli e due civiltà che più diversi tra loro
non si può.
I primi, i Greci, hanno inventato la democrazia, la
filosofia e le arti, dalle letture me li ricordo come gente che ragiona tanto e
crede poco, solari e un po’ confusionari, con un rapporto cinico con il loro
pantheon che non so se definire più malandrino o complice, con degli dei
veramente improponibili come esseri superiori e con un capo “fimminaro” come
pochi.
I secondi, gli Ebrei, specie quelli del Vecchio Testamento,
hanno invece strutture sociali monocratiche, poco aperti alle arti in genere,
sono monoteisti, austeri e religiosamente intransigenti ai limiti del
fanatismo, vantano un rapporto privilegiato con il loro dio che li chiama
popolo eletto, ma al contempo con questo essere severo e vendicativo stanno
spesso in conflitto tra trasgressioni, punizioni (la peste ad Ashdod!) e
perdoni.
Come è possibile che questi due popoli – così
profondamente diversi - abbiano elaborato concetti così simili, praticamente
uguali, su un passo così delicato del pensiero religioso/filosofico, lo snodo
del rapporto tra divino ed umano? Certo è anche vero che la culla di questi due
popoli era limitrofa, e infatti Grecia e Palestina sono ambedue rivierasche del
Mediterraneo orientale; è vero che il mare unisce e non divide; è ancora vero
che ambedue hanno alle spalle qualche migliaio di anni di tempo per conoscersi
ed eventualmente per scambiarsi idee e credenze, tutto vero, eppure…. non sono
convinto. E non sono convinto anche perché, se questo tipo di rapporto fosse
una naturale proiezione dell’uomo verso il divino, dovrebbe essere presente in
quasi tutte le religioni del mondo, cosa che a palmi non mi pare, anche se non
sono un esperto in materia. Proviamone un’altra.
Seguendo gli studi e le deduzioni di Pierluigi
Montalbano, che ipotizza un momento della grande civiltà nuragica – che aveva
permeato di sé tutto il Mediterraneo – in cui questa perde coesione e si
frantuma, dando vita ai popoli proto-storici del Mediterraneo, non potrebbe
essere che i due popoli in questione non siano giunti allo stesso concetto per
strade autonome e separate, ma in realtà abbiano attinto ambedue ad antiche,
comuni credenze, rielaborandole poi solo formalmente per adattarle ai
rispettivi culti religiosi?
Ipotesi forse affascinante, ma sento che mi sto
spingendo troppo lontano, e senza le necessarie basi culturali. Però che bello
girovagare nel passato, magari anche con un po’di fantasia…..
meshcam-pro-crack
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