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giovedì 17 dicembre 2020

RIFLESSIONI - ESCHILO E LA BIBBIA

 RIFLESSIONI.

Cari amici, questa dannata pandemia non sembra per il momento voler mollare la presa, e così si allontana nel tempo la possibilità di riprendere le nostre conferenze.
Io continuo, tanto per mantenere i contatti, a scrivere dei miei ricordi di viaggio ed a farli circolare, ma di recente mi è venuto il desiderio di ampliare l’orizzonte di questi racconti, si tratta più che altro di affiancarli con delle “riflessioni” sui più svariati argomenti, e tanto per capirci meglio il primo, dal titolo “Eschilo e la Bibbia”, lo sottopongo alla vostra attenzione.
Mi piacerebbe che queste mie riflessioni ne suscitassero altre in chi le legge, creando un nuovo contatto virtuale: un vecchio proverbio diceva da cosa nasce cosa, chissà che non accada la stessa cosa con qualche idea.
Vi auguro una buona lettura ed invio i miei migliori auguri per le prossime festività, 

Flavio Impelluso.                                                               15 dicembre 2020

 

ESCHILO E LA BIBBIA

Credo che ognuno di noi abbia una zona limbica di parcheggio in cui accumulare informazioni, per esempio tutta una serie di nozioni scolastiche che magari non ci sono servite per decenni e che ci ricordiamo di avere solo perché salgono ad un tratto alla memoria, evocate dalle più varie ragioni, un articolo di giornale, una notizia alla TV o una conversazione casuale. 

A me è capitato recentemente leggendo un articolo su una rivista di storia ed archeologia, parlava di Eschilo e della tragedia con cui aveva reso immortale il mito dello sciagurato Titano, il Prometeo Incatenato: e infatti dal parcheggio di cui sopra sono balzati fuori quasi in automatico Titani, avvoltoi e catene. Ma, confesso, la memoria era un po’ arrugginita, perché nonostante il Prometeo me lo fossi sorbito tutto, credo al Ginnasio, me lo ricordavo confusamente come una fase delle lotte per il potere nel pantheon greco, Crono e Zeus, la Terra ed i Titani, tutto un guazzabuglio di lotte e feroci vendette.

Ma non mi ricordavo, o forse a 15 anni non lo avevo proprio compreso, il profondo significato insito nel dono di Prometeo, a me allora era sembrato una delle classiche leggende con cui nell’antichità si ammantavano le vicende umane - nello specifico la scoperta del fuoco – con racconti fantasiosi, e certo farlo donare all’uomo da un Titano ribelle era più bello ed immaginifico che non attribuirlo a mera casualità. E così, spinto dai ricordi, riprendo in mano Il “Prometeo incatenato” e, pur con qualche salto di impazienza, arrivo al punto del dialogo con le ninfe Oceanine, dove è Prometeo stesso che tra gli spasmi della sua eterna pena confessa alle ninfe di aver dato agli uomini (col fuoco) le chiavi del sapere.

E qui la ribellione ed il dono esprimono tutto il loro potere trasgressivo perché il fuoco ha una sua duplice valenza: per un verso la concretezza, dato che è con il fuoco che l’uomo inizia a progredire, ma anche l’affrancamento dall’ignoranza, perché il fuoco è il simbolo della luce del sapere. Questa è la vera sfida che gli dei temono, questa è la ragione dell’ira di Zeus e della terribile punizione che infligge al Titano. E qui le rotelle un po’ ossidate mi si rimettono un po’ in moto, e qualcosa riaffiora alla memoria: ma io ‘sta storia l’ho già sentita, mi sbaglierò ma il fatto degli dei che vogliono tenere per sé il sapere e non vogliono condividerlo in toto con gli uomini, anzi li minacciano di morte, non mi è nuovo.

E infatti: Bibbia, Genesi (2, 15-16), lo schema è identico: il sapere è patrimonio Divino, Dio ne regala una parte all’uomo, ma se l’uomo trascendesse il donato “…certamente ne morirebbe.” Così si conclude quel passo della Genesi.

Vabbe’, direte, e dov’è la stranezza? Che gli uomini proiettino sugli dei una visione “umana” dei rapporti ci può stare, e così pure che l’uomo nella sua continua ricerca del sapere si renda conto che “sconfinare” potrebbe essere pericoloso, e quindi si autoimponga un limite ultraterreno. Certo, e infatti non è questo che mi ha stupito: quello che mi è sembrato strano è stata la constatazione che questo concetto nasca praticamente uguale tra i Greci e tra gli Ebrei, due popoli e due civiltà che più diversi tra loro non si può.

I primi, i Greci, hanno inventato la democrazia, la filosofia e le arti, dalle letture me li ricordo come gente che ragiona tanto e crede poco, solari e un po’ confusionari, con un rapporto cinico con il loro pantheon che non so se definire più malandrino o complice, con degli dei veramente improponibili come esseri superiori e con un capo “fimminaro” come pochi.

I secondi, gli Ebrei, specie quelli del Vecchio Testamento, hanno invece strutture sociali monocratiche, poco aperti alle arti in genere, sono monoteisti, austeri e religiosamente intransigenti ai limiti del fanatismo, vantano un rapporto privilegiato con il loro dio che li chiama popolo eletto, ma al contempo con questo essere severo e vendicativo stanno spesso in conflitto tra trasgressioni, punizioni (la peste ad Ashdod!) e perdoni.

Come è possibile che questi due popoli – così profondamente diversi - abbiano elaborato concetti così simili, praticamente uguali, su un passo così delicato del pensiero religioso/filosofico, lo snodo del rapporto tra divino ed umano? Certo è anche vero che la culla di questi due popoli era limitrofa, e infatti Grecia e Palestina sono ambedue rivierasche del Mediterraneo orientale; è vero che il mare unisce e non divide; è ancora vero che ambedue hanno alle spalle qualche migliaio di anni di tempo per conoscersi ed eventualmente per scambiarsi idee e credenze, tutto vero, eppure…. non sono convinto. E non sono convinto anche perché, se questo tipo di rapporto fosse una naturale proiezione dell’uomo verso il divino, dovrebbe essere presente in quasi tutte le religioni del mondo, cosa che a palmi non mi pare, anche se non sono un esperto in materia. Proviamone un’altra.

Seguendo gli studi e le deduzioni di Pierluigi Montalbano, che ipotizza un momento della grande civiltà nuragica – che aveva permeato di sé tutto il Mediterraneo – in cui questa perde coesione e si frantuma, dando vita ai popoli proto-storici del Mediterraneo, non potrebbe essere che i due popoli in questione non siano giunti allo stesso concetto per strade autonome e separate, ma in realtà abbiano attinto ambedue ad antiche, comuni credenze, rielaborandole poi solo formalmente per adattarle ai rispettivi culti religiosi?

Ipotesi forse affascinante, ma sento che mi sto spingendo troppo lontano, e senza le necessarie basi culturali. Però che bello girovagare nel passato, magari anche con un po’di fantasia…..

 

 

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