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sabato 16 gennaio 2021

AMARCORD - PRAGA, MON AMOUR

Flavio Impelluso                                                                16 gennaio 2021

Fa freddo. Fa freddo perché d’inverno a Praga fa freddo, ma quello che abbiamo dentro è molto peggio, è un gelo di rabbia e insieme una grande pena. Siamo appena usciti dal cimitero ebraico, è un luogo orribile: ci spiegano che nel XV secolo le autorità concessero agli ebrei un fazzoletto di terra per inumare i loro morti, e poi per secoli li hanno costretti a seppellirli lì, proibendogli di farlo al di fuori. In alcuni punti si sono sovrapposti nove strati di sepolture, in quel misero rettangolo c’è un caos di 12.000 lapidi gotiche, poi rinascimentali e poi barocche, tutte pigiate una contro l’altra, qualcuna accavallata sulle altre o ribaltata: coprono i centomila morti inumati nel tempo. Il silenzio e l’ombra dei grandi alberi enfatizzano l’atmosfera spettrale e dolorosa. Mi viene in mente, paradossale e amara, la constatazione che non c’è bisogno del filo spinato per violentare ed umiliare un popolo, in fondo si può fare tanto male con poco, basta una proibizione.

Eravamo a Praga con mia moglie e mia figlia nei primi anni ’80, affabulati da una Praga immaginata, nel senso che ci eravamo innamorati di quella città solo attraverso le nostre letture. A dire il vero, il primo impatto fu deludente, in quegli anni di regime non è che la città splendesse: nonostante una timida ripresa del turismo, ricordo una Praga cupa, poco illuminata, negozi e vetrine poveri, insomma della “piccola Vienna” di un tempo non c’era rimasto molto.

Poi, con il trascorrere dei giorni, l’iniziale sconforto  si attenuò ed iniziammo a scorgere piccole aperture di una Praga ritrosa, come se la città si stesse svelando piano piano, non tanto nelle visite guidate che pur mostravano luoghi molto belli e prospettive affascinanti – il ponte Carlo, il castello, la cattedrale, il vicolo d’oro  – quanto di notte, quando tutti imbacuccati passeggiavamo per i vicoli di Mala Strana: era allora che Praga sembrava parlare, diceva che sì, il momento storico era quello che era e incombeva come una cappa, ma sotto c’era ancora lei, con tutto il suo fascino, e noi dovevamo solo sollevarne un lembo per ritrovare la città   del nostro immaginario.

E così accadde, anche se purtroppo prima sperimentammo la realtà del “momento storico”. Era successo che la domenica successiva cercavamo una chiesa per un momento di raccoglimento, e in albergo ci avevano dato un indirizzo. Trovata la chiesa, entriamo: non ci aspettavamo certo folle e luminarie, ma neppure di trovarla così deserta e pateticamente buia, poche candele, quel tanto da non inciampare. Poi, prima di andarcene, volevamo fare un’offerta ma non c’era un sacerdote, cercammo quindi nel buio la apposita cassettina. Appena mia moglie ebbe inserito l’offerta dal nulla apparvero improvvise due figure che le si pararono davanti.

Oggi, distante nello spazio e nel tempo, il ricordo sfuma ed assume persino aspetti grotteschi, perché i due poliziotti indossavano lunghi cappotti neri di pelle e calzavano borsalini anteguerra, sembravano i gangster delle vecchie serie televisive, ma allora, giuro, avevamo il cuore in gola: erano poliziotti, e i metodi della polizia dei paesi dell’est erano ben noti. Ci guardarono per un lungo momento, a noi parve un’eternità, poi uno dei due, un volto patibolare, ci puntò contro un dito minaccioso e sibilò “che non avremmo salvato la Chiesa con le nostre offerte”, e lo disse in un italiano duro ma comprensibile. Rimasero lì ancora qualche momento a fissarci ostili come ad accertarsi che avessimo ben compreso l’avvertimento, poi scomparvero nel buio come erano apparsi.

In albergo minimizzarono, sarà stato un caso, commentarono imbarazzati, sarà stata l’iniziativa di un poliziotto troppo solerte, dato che era noto a tutti che i turisti dovevano essere trattati con i guanti perché portavano valuta pregiata. Mah, il fatto che eravamo stati seguiti da poliziotti che parlavano l’italiano a noi sembrò una cosa organizzata, non un caso, ma non capivamo la ragione di quell’atto intimidatorio: certo, se tale era, con noi c’erano riusciti, per giorni ci portammo dietro quel disagio.


Pagato lo scotto a quei tempi bui, ci restava il ricordo dei vicoli di Mala Strana, quando Praga ci aveva promesso di svelarsi, e fu di parola:  
ed un giorno, per la prima volta da quando eravamo arrivati, percepii qualcosa di nuovo ed inebriante, era come se stessi vedendo una Praga nuova, non si era alzato solo un lembo, si era alzata l’intera cappa. Era di pomeriggio avanzato, il sole stava tramontando, colori di una bellezza struggente, finalmente non faceva più freddo o non lo sentivo, ed io mi innamorai di Praga.

Vi è mai capitato? Di innamorarvi di una città, intendo, non parlo di rimanere estasiati dinanzi ad un paesaggio o ad un quadro: a me non era mai capitato prima - Roma non conta perché con lei è amore per la vita - questa era…. una vera e propria cotta.  Non so neppure se “innamorarsi” è il termine giusto, ma all’improvviso mi sentii in totale simbiosi con quello che mi circondava, non solo con le pietre ma con lo spirito stesso di quella città: era come se tra Praga e me fosse scattato qualcosa e l’illusione che lei mi corrispondesse mi rendeva felice. Un po’ era come l’innamoramento classico, ma senza il sottofondo predatorio di noi maschietti, al contrario, mi sentivo preso dal desiderio di abbandonarmi tra le braccia di Praga, di arrendermi al suo fascino. Che cosa strana, era un languore profondamente appagante, e insieme un’ansia dolce di quando sei in attesa di una cosa bella, proprio come un primo appuntamento. Momenti magici, indimenticabili: non so spiegarmeli e non so spiegarli meglio di così, forse Bacharach e David provarono qualcosa del genere.

Non siamo più tornati a Praga, troppe le tentazioni in giro per il mondo, forse anche un po’ il timore di non riuscire a vivere più quei momenti incantati, persi nei troppi anni trascorsi. Però quando ho ripensato a quel viaggio, quando ho tentato di far rivivere quei momenti e di narrarli, una cosa è venuta immediata, il titolo si è scritto da solo: PRAGA, MON AMOUR.    

Note dell’autore:   
- Mia moglie è al corrente 
- Non uso droghe e il giorno che mi innamorai avevo bevuto una sola Pilsner a pranzo: una media.


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