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mercoledì 8 settembre 2021

AMARCORD – L’U.R.S.S.

Flavio Impelluso                                                                     8 settembre 2021

 Care amiche e cari amici, purtroppo di riprendere i nostri incontri con le conferenze non se ne parla ancora: speriamo che l’inizio dell’anno scolastico fornisca precise indicazioni di come gestire in sicurezza una riunione in un’aula, consentendo così anche a noi di adeguarci.

Questo periodaccio che sembra non finire mai aveva fatto saltare anche quel minimo di contatto epistolare che avevamo instaurato con gli Amarcord e con le Riflessioni, ma a questo possiamo rimediare: se avrete la pazienza di dedicar loro qualche minuto del vostro tempo, io riprendo …. le spedizioni!

Vi ringrazio, un abbraccio,

Flavio Impelluso

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Mi ricordo della Russia, un viaggio di tanto tempo fa, tanto da farmi sembrare che non fosse solo un salto di tempo, ma proprio un altro mondo. Mi rendo conto adesso che intitolare questi ricordi come “L’U.R.S.S.” è un tantino velleitario, nel senso che poi abbiamo toccato solo due città della Russia, ma allora c’era effettivamente un po’ di sovrapposizione tra i nomi.

Sia come sia, andare allora in Unione Sovietica non era propriamente pericoloso, però per noi di area liberale quello era un mondo estraneo e minaccioso, e la gente per bene - cioè noi, è chiaro - non ci andava. Guareschi riteneva che ci andassero solo i funzionari del Partito Comunista per tessere le loro oscure trame (anche se poi don Camillo…), e noi sostanzialmente eravamo d’accordo. Erano gli anni ‘60, o forse i primissimi anni ’70, non ricordo bene, la faccenda dei missili russi a Cuba non era lontana. Nell’oscurità della guerra fredda, paradossalmente tutto sembrava chiaro, o era bianco o nero, e insomma l’atmosfera era questa.

Dopo cotanto prologo vi aspetterete che…. e invece mia moglie ed io, con perfetta coerenza, appena ci capitò l’occasione ci andammo: e l’occasione fu la possibilità di partecipare ad un ambìto viaggio premio a Mosca e Leningrado, organizzato dalla Direzione Commerciale. A farla breve, a primavera eravamo a Mosca.

Per mia dabbenaggine iniziai subito male, perché come vestiario non ero attrezzato (diamine, qui è primavera!), invece lì c’era la neve e faceva un freddo cane, e probabilmente questo disagio – contrastato di malavoglia comprando abbigliamento locale – contribuì ad influenzarmi negativamente. Colpa mia, avrei dovuto informarmi meglio.

Intendiamoci, io ero partito col piede sbagliato, ma Mosca era brutta davvero a prescindere dal freddo: file e file di orridi palazzoni grigi di edilizia popolare che sembravano Alcatraz, negozi di una povertà dolorosa, gente ingrugnita e infagottata che non ti faceva un sorriso a pagarlo oro e che nelle metropolitane – bellissime le stazioni - ti caricava come caproni. E poi gli sguardi ostili quando sentivano parlare straniero, e le guardiane grasse ai pianerottoli dell’albergo che ti fissavano inquisitorie e non rispondevano alle domande e neppure ai saluti, se insomma quello era il paradiso socialista in terra se lo tenessero pure, io facevo l’ateo.

Il colpo finale fu il cibo: nonostante gli alberghi fossero di livello (i viaggi premio del Commerciale erano molto buoni) ci toccavano sempre, a pranzo e a cena, lo zakuski (l’antipasto, in genere buono anche se parco) e poi il borscht (la zuppa di cavolo e barbabietole) su cui il più turpe dei miei commenti suonerebbe benevolo.

Non vedevo l’ora di andarmene a Leningrado, di cui avevo studiato l’architettura e ne ero rimasto affascinato, e che poi in effetti avrei trovato bellissima.

Ma torniamo a Mosca, perché mi attendeva una sorpresa: con l’andare degli anni e dei viaggi, avrei constatato un fenomeno strano e ripetitivo, e cioè che nell’imminenza della partenza da una città, bella o brutta che l’avessi trovata, mi capitava qualcosa che avrebbe connotato quel viaggio e che avrei ricordato a lungo.

E così accadde a Mosca: il programma di viaggio prevedeva una serata al Bolshioij, davano il balletto “Il lago dei cigni” con il suo famoso corpo di ballo. Un bellissimo intreccio di storia, perché la “prima” era stata proprio in quel teatro nel 1877, e di musica ormai famosissima. Entrammo nel mitico teatro sotto una mezza bufera di neve, ottime poltrone, e iniziò la magìa di una serata indimenticabile.

Mia moglie ed io conoscevamo la suite, ma non avevamo mai visto il relativo balletto, e quindi non avevamo mai avuto modo di apprezzare la bellezza di questa fusione tra musica, corpo umano e coreografia: scoprimmo allora l’armonia che si poteva creare portando all’unisono le tre cose distinte.

 Non tento nemmeno di commentarvi lo spettacolo, lo conoscete tutti e poi non sarei proprio all’altezza, ricordo solo due impressioni: la prima era – pur essendo neofiti - la percezione di assistere a qualcosa di altissimo livello, non so come spiegarlo, ma la fluidità di quello che avveniva sull’enorme palcoscenico era surreale, non sembrava umano.

La seconda ancora più personale: ebbi l’impressione, che farà sorridere gli esperti, di percepire la musica come un tappeto magico. Sì, sapete quei tappeti volanti delle fiabe? Be’, mi sembrava che i ballerini non danzassero: volavano eterei nell’aria su quei tappeti virtuali. Non saprei spiegare diversamente la mia percezione del continuum simbiotico tra ballerini e musica.

Fu un appagamento raro, di centinaia di momenti musicali che ho ascoltato negli anni, solo uno ha il potere evocativo ed il coinvolgimento emotivo di quella sera a Mosca, e non era un balletto ma una sinfonia: anni dopo, era il 2001, Auditorium alla Conciliazione, Abbado dirige i Berliner nella Nona di Beethoven. Esperienza unica, quando finisce ed esci nella notte ti senti in uno stato di esaltazione eroica e insieme in pace con il mondo intero, una cosa…. 

Non si scandalizzino i puristi per come ho accostato sinfonia e balletto, e sopra tutto Cajkovskij e Beethoven: non volevo tracciare parallelismi tra loro, solo tra ricordi molto personali di un giramondo.

Ma torniamo a Mosca che evidentemente voleva annichilirci: dopo averci conquistato con il balletto, ci offrì un finale di serata indimenticabile. Quando uscimmo dal teatro la bufera di neve si era calmata, solo fiocchi leggeri danzavano ancora creando la classica atmosfera incantata dei film, attraversammo la Piazza Rossa dove aleggiava il suono di un violino, una melodia struggente che non conoscevo, c’era un languore d’oriente che non riuscivo ad accasare (Rimsky-Korsakov? Borodin?), non capivo da dove venisse né riuscimmo a vedere il suonatore, ma ci accompagnò per tutta la piazza.

La cosa strana è che mia moglie quell’episodio non lo ricorda proprio, e dato che ha una memoria migliore della mia… possibile che mi fossi inventato tutto? Possibile che l’avessi sognato, sulle ali dell’entusiasmo per il Lago dei cigni? E’ vero che era stata una serata incantata, ma ricordarsi una cosa che non era esistita! Non lo so, è passato troppo tempo, e poi, ormai, che importa?

E Leningrado? Be’, è strano, me l’ero sognata, quella città, quasi in Russia c’ero andato solo per vederla, e in effetti dopo Mosca mi sembrò di essere rientrato nel mondo civile, bella e “occidentale”, anzi proprio con quell’impronta italiana, ariosa con le sue celebri prospettive, e poi l’Hermitage, cosa vuoi di più dalla vita? E invece, nello sgranarsi all’indietro degli anni, e poi dei decenni, immagini e ricordi di Leningrado si sono lentamente confusi e come appiattiti, e poi scoloriti, fino ad apparire vaghi come i sogni e come forse devono essere i ricordi di un altro secolo. Persino il rimpianto delle cose perdute, la Sala dei Canova, un impatto forte, lo ricordo solo se mi capita tra le mani una vecchia foto.

E così anche le brutture di Mosca hanno perso nel tempo la loro concretezza, anche loro svanite come fantasmi all’alba: non posso in coscienza ritirare i giudizi che ho espresso su quella città – in quegli anni era proprio brutta e angosciante – ma mi aveva donato una cosa rara, un ricordo di quelli che ti scaldano il cuore, quando ci pensi ti viene da sorridere, e se qualcuno ti chiede perché sorridi, scuoti il capo e basta, come fai a spiegarlo? Oppure ci provi, come adesso con voi, e sia come sia.

Io però quel misterioso violino della Piazza Rossa che suggellava la serata magica al Bolshioij…..

 

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