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giovedì 4 novembre 2021

AMARCORD – QUEI GIORNI IN PROVENZA

  Flavio Impelluso                                                                 1 novembre 2021

Questo AMARCORD è un po’ particolare, intanto perché devo fare una premessa, e poi perché fu un viaggio che – a differenza di altri - mi costrinse ad alcune riflessioni.

La premessa: alcune delle cose che narrerò sembreranno così idilliache da essere poco credibili. Tranquilli, tutto vero, i miei amici sanno che non sono certo un apologeta di alcuni atteggiamenti dei Francesi, tutt’altro. A parte le mie personali sensazioni, non c’è nulla del racconto che non sia realmente accaduto. Un’ultima cosa: narro fatti di parecchi anni fa, non so se le cose in Francia stiano ancora così.

Possiamo cominciare. Nel …e chi se lo ricorda l’anno preciso… diciamo parecchi anni fa, mia moglie ed io decidemmo con una coppia di amici di fare un giro in Provenza, un po’ una zingarata inconsueta, andando alla ventura, senza prenotazioni di sorta. Allora avevo a disposizione la macchina aziendale, una Lancia comoda per lunghi viaggi, e una bella giornata di Agosto partiamo di buon mattino.

Impattammo quasi subito in una serie ininterrotta di lavori in corso, blocchi della carreggiata, salti di corsia, file di auto incolonnate sotto il sole, chilometri senza poter innestare neanche la terza, ricordo ancora quella giornata come un incubo. Non ve la faccio lunga: nel tardo pomeriggio, saranno state le 18,00 o poco più, giungiamo ad S., a pochi chilometri dal confine.

Non lo attraversammo subito perché - tranne una sosta volante per pranzo - erano praticamente dieci ore che viaggiavamo ed eravamo stanchi, quella guida a singhiozzo era stata particolarmente stressante: tutti d’accordo optammo per cenetta, ricca dormita, e domani mattina belli freschi passiamo il confine.  

Ricoveriamo la macchina e cerchiamo un ufficio del turismo per trovare un albergo, ma stranamente i locali non sanno indicarcelo, in quel quartiere non c’era, finalmente un vigile ci indirizza: è un negozio, la saracinesca è alzata ma la porta a vetri è chiusa, non c’è nessuno. Dopo un bel po’ arriva una signora, apre bottega ed entriamo. Inopportunamente ci scappa un commento sugli orari, la signora esplode, ci dice che “lei è una volontaria, siamo fortunati che sia ancora lì, se ci sta bene è così se no chiude e se ne va a casa”, ci sbatte sul bancone un elenco degli alberghi locali e ci fa pagare la telefonata (!) di prenotazione. Usciamo in punta di piedi, terrorizzati. Bella giornata, cominciamo bene.

E così l’indomani attraversiamo il confine e cominciamo a girare senza meta, proprio come avevamo deciso, la Provenza è molto bella, lo so che è ovvio ma sembra proprio un quadro di Van Gogh, è tutta un inseguirsi di campi dorati e di chiazze di lavanda, speravo di trovarne di più ma è Agosto e va bene uguale, quando guido io mi strillano perché mi imbambolo a guardare il paesaggio e rischio i fossi.

Il traffico è leggero, le strade un biliardo, a mezzogiorno ci indirizziamo come da cartina verso il più vicino paesotto, vorremmo mangiare e soprattutto – memori della virago volontaria - prenotare per la notte. Il paese ci accoglie con un lungo viale alberato, potrebbe essere la Toscana, sbuchiamo sulla piazza principale, una piazza quadrata che sembra porticata, ma non sono portici, sono grandi platani piantati tutto intorno dinnanzi alle case, e non ci sono i marciapiedi: una conformazione per noi del tutto estranea ma estrosamente elegante. Al centro della piazza, all’ombra di altri platani, un bel chiosco vetrato, e qui non crediamo ai nostri occhi, perché sul chiosco c’è scritto “Office de Tourist”. Capito? Quel paese ha un suo Ufficio per Turisti, e che ufficio!

Entriamo, aria condizionata, tre postazioni, tre biondine celtiche trilingue (c’è scritto sulla scrivania), quella “nostra” ci interroga, capisce la situazione, apre la carta e ci indica tutta una serie di luoghi interessanti (archeologici, storici ecc.) del sud-est della Provenza: consiglia di fermarci per qualche giorno in un paese centrale tra quei luoghi, dal quale potremo raggiungerli tutti comodamente in giornata, senza la scocciatura di fare e disfare i bagagli. Ottimo: ci mostra gli alberghi del nostro futuro hub, noi scegliamo, lei prenota, ci lascia una ricevuta della avvenuta prenotazione, ci impacca di opuscoli dei luoghi segnalati, ci ringrazia e ci saluta: tutto ovviamente gratis. Siamo come storditi, in bilico tra la felicità dei ragazzini e l’amaro degli inevitabili confronti.

Non vi tedierò con il diario di quei giorni, fu una vacanza serena, paesaggi molto belli, cibo buono ma spesso autoreferenziale, vini ovunque di livello. La Camargue, con il suo fascino tutto particolare, sembrava di un altro secolo, poi ci fermammo qualche giorno ad Avignone per dovere storico e perché c’era il Festival di Avignone, oltre alla stupenda Residenza ed alla calca inverosimile, ricordo l’andirivieni blu delle divise della Gendarmerie – capo pattuglia in testa ed i due gregari dietro a triangolo - ragazzoni palestrati con pistola e manganello, che aravano in continuazione la folla: in quei giorni non assistemmo che dico ad una rissa, ma neppure ad un litigio.

Parecchie furono invece le occasioni (personalissime) in cui masticai amaro, in molte visite trovai i siti romani accuratamente censurati e divenuti “siti antichi” oppure, in altre occasioni, descritti come monumenti della civiltà celtico-romana. Complessi romani tra i più belli e completi del mondo (il teatro romano di Orange!) ridotti ad espressione di una fantomatica civiltà celtico-romana! La notte avevo gli incubi: e va bene, adeguiamoci, c’est la vie!

In quelle due settimane percorremmo qualche migliaio di chilometri su strade di tutti i tipi, provinciali, statali e tratti di autostrada, traffico snello e niente file ai semafori perché quasi scomparsi, soppiantati da grandi rotatorie o da sovrappassi. Molto simpatico il coro di clacson isterici che si levava alle nostre spalle quando, poco avvezzi, esitavamo all’imbocco delle rotatorie o rallentavamo all’interno, ci venne il vago sospetto che c’entrasse in qualche modo la targa italiana: un amore reciproco.

Continuammo strabiliati a trovare strade perfette, non una interruzione, non un cantiere, tanto che chiedemmo ai locali come riuscissero ad avere strade perfette senza alcun cantiere in opera: un ristoratore, che era anche il sindaco di un paese dove sostammo – e che ci offrì un Bourboulenc da far resuscitare i morti - se ne uscì allibito con un “Vous etes fous? Cantieri e lavori a Luglio e ad Agosto, con tutte le strade piene di vacanzieri nostrani e di turisti?”

E ci spiegò che i grandi lavori di manutenzione delle strade li programmavano in inverno e poi li facevano a primavera, quando erano ancora aperte le scuole e non erano iniziate le ferie. Per le piccole manutenzioni impreviste (la conseguenza di un incidente, ad esempio) avevano una fitta rete di “pronto intervento” coordinati da centrali operative e supportati dalla Stradale, che intervenivano subito lavorando anche di notte, onde ristabilire la viabilità al più presto.

Memore dei problemi di competenze che accadevano da noi dopo un incidente  (ricordavo il caos dopo il crollo di un cavalcavia in autostrada), chiesi se da loro capitavano ritardi nei lavori per conflitti di competenze, e mi beccai per la seconda volta uno sguardo di compassione, quello che noi dedichiamo ai deboli di mente: “Ce n’est pas possible!” rispose sconcertato: competenze e responsabilità dei singoli dipartimenti e degli Enti preposti erano attribuite dalla notte dei tempi e previste proprio per evitare conflitti e ritardi.

 Dinanzi alla inoppugnabile logica delle spiegazioni del sindaco, ed ai suoi sguardi sempre più sconcertati, ci vergognavamo come ladri (ammesso che oggi i ladri…), e ovviamente nessuno di noi osò far cenno [F1] alle nostre peripezie di pochi giorni prima.

Poi, come tutte le cose belle, anche quella vacanza finì, ed era stata molto piacevole. Però non mi rimasero solo ricordi piacevoli, e non parlo del loro voler ignorare il retaggio romano, troppe cose avevano segnato confronti imbarazzanti. Vedete, nella maggior parte dei miei viaggi non c’è molta possibilità di confronto, come fai ad imbastire un confronto pratico tra l’Italia e la Namibia, o l’Uzbekistan? Con la Francia, invece e purtroppo, il confronto fu immediato.

Lì avevo constatato, pur nei limiti di una vacanza, che il mantra di una corretta amministrazione – PROGRAMMA, ORGANIZZA, ATTUA, CONTROLLA - non era una formuletta vuota: sembrava proprio che si potesse applicare. Oddìo, mica era Bengodi, certamente come tutti avevano i loro guai che come turista non avevo colto, ma in qualche modo avevo percepito nei fatti e, come dire, nell’atmosfera del quotidiano, che in Francia c’era un organismo (lo Stato?) che operava con meccanismi ben oliati e produceva fatti. Fatti, non programmi.

Cerco di spiegarmi meglio: da mille piccole cose accadute in quei giorni avevo la sensazione che lì le cose funzionassero (ragionevolmente bene) e la vita si svolgesse abbastanza tranquillamente, e questo perché qualcuno individuava i problemi prima che ingigantissero, li studiava e poi cercava il modo migliore di porvi rimedio. E poi lo attuava. Così, niente di strabiliante.

Quello che mi pesa sul cuore è che il ritorno fu sconfortante, la consueta follia del traffico, le condizioni inenarrabili degli autogrill e delle piazzole di sosta, le tante cose che non funzionavano, la constatazione evidente che noi non applichiamo i saggi indirizzi della buona amministrazione, altrimenti i nostri telegiornali non sarebbero costretti a riproporre da decenni (si, ho detto decenni), anno dopo anno, i caotici ingorghi estivi causa lavori sulle nostre strade. Tanto per fare un esempio. E mi fermo subito perché l’elenco non finirebbe più.

Tanti anni fa capitai vicino ad un incidente appena accaduto, ed ho ancora vivido il ricordo della frase di un addetto che suonava come un perfetto epitaffio delle nostre amministrazioni: “Qui deve morì quarcuno dentr’an tombino, pe’ accòrgese che so’ mesi che se stanno a frega’ i coperchi!”

In teoria noi abbiamo tutto per benino, le Camere, le Regioni, i Comuni, i Sindacati e tutto quello che vi pare, c’è pure ovviamente un Governo ed un Capo dello Stato, perché non funzionano? Ma se, individuato un problema, è così facile programmare per tempo un intervento e poi attuarlo, perché non riusciamo a farlo?

Ecco perché rievocare quel viaggio mi ha riportato alla mente tanti ricordi sereni, e insieme tanta pena.

Cerco di consolarmi dicendomi che anche nel buio più fitto, a guardar bene, si può intravvedere un barlume di luce, ed io l’ho trovato nel recente indirizzo di mettere persone competenti nelle posizioni decisionali: incredibile, e chi ci avrebbe mai pensato prima? Io credevo veramente che si potesse prendere il primo che passava e fargli fare che so, il Sindaco, o magari il Capo del Governo. Vuoi vedere che….


 [F1]

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