Flavio Impelluso 1 novembre 2021
La premessa: alcune delle cose che narrerò sembreranno così idilliache da essere poco credibili. Tranquilli, tutto vero, i miei amici sanno che non sono certo un apologeta di alcuni atteggiamenti dei Francesi, tutt’altro. A parte le mie personali sensazioni, non c’è nulla del racconto che non sia realmente accaduto. Un’ultima cosa: narro fatti di parecchi anni fa, non so se le cose in Francia stiano ancora così.
Possiamo cominciare. Nel …e chi se
lo ricorda l’anno preciso… diciamo parecchi anni fa, mia moglie ed io decidemmo
con una coppia di amici di fare un giro in Provenza, un po’ una zingarata
inconsueta, andando alla ventura, senza prenotazioni di sorta. Allora avevo a
disposizione la macchina aziendale, una Lancia comoda per lunghi viaggi, e una
bella giornata di Agosto partiamo di buon mattino.
Impattammo quasi subito in una
serie ininterrotta di lavori in corso, blocchi della carreggiata, salti di
corsia, file di auto incolonnate sotto il sole, chilometri senza poter
innestare neanche la terza, ricordo ancora quella giornata come un incubo. Non
ve la faccio lunga: nel tardo pomeriggio, saranno state le 18,00 o poco più,
giungiamo ad S., a pochi chilometri dal confine.
Non lo attraversammo subito perché
- tranne una sosta volante per pranzo - erano praticamente dieci ore che
viaggiavamo ed eravamo stanchi, quella guida a singhiozzo era stata
particolarmente stressante: tutti d’accordo optammo per cenetta, ricca dormita,
e domani mattina belli freschi passiamo il confine.
Ricoveriamo la macchina e
cerchiamo un ufficio del turismo per trovare un albergo, ma stranamente i
locali non sanno indicarcelo, in quel quartiere non c’era, finalmente un vigile
ci indirizza: è un negozio, la saracinesca è alzata ma la porta a vetri è
chiusa, non c’è nessuno. Dopo un bel po’ arriva una signora, apre bottega ed
entriamo. Inopportunamente ci scappa un commento sugli orari, la signora
esplode, ci dice che “lei è una volontaria, siamo fortunati che sia ancora lì,
se ci sta bene è così se no chiude e se ne va a casa”, ci sbatte sul bancone un
elenco degli alberghi locali e ci fa pagare la telefonata (!) di prenotazione.
Usciamo in punta di piedi, terrorizzati. Bella giornata, cominciamo bene.
E così l’indomani attraversiamo il
confine e cominciamo a girare senza meta, proprio come avevamo deciso, la
Provenza è molto bella, lo so che è ovvio ma sembra proprio un quadro di Van
Gogh, è tutta un inseguirsi di campi dorati e di chiazze di lavanda, speravo di
trovarne di più ma è Agosto e va bene uguale, quando guido io mi strillano
perché mi imbambolo a guardare il paesaggio e rischio i fossi.
Il traffico è leggero, le strade
un biliardo, a mezzogiorno ci indirizziamo come da cartina verso il più vicino
paesotto, vorremmo mangiare e soprattutto – memori della virago volontaria -
prenotare per la notte. Il paese ci accoglie con un lungo viale alberato,
potrebbe essere la Toscana, sbuchiamo sulla piazza principale, una piazza
quadrata che sembra porticata, ma non sono portici, sono grandi platani
piantati tutto intorno dinnanzi alle case, e non ci sono i marciapiedi: una
conformazione per noi del tutto estranea ma estrosamente elegante. Al centro
della piazza, all’ombra di altri platani, un bel chiosco vetrato, e qui non
crediamo ai nostri occhi, perché sul chiosco c’è scritto “Office de Tourist”.
Capito? Quel paese ha un suo Ufficio per Turisti, e che ufficio!
Entriamo, aria condizionata, tre
postazioni, tre biondine celtiche trilingue (c’è scritto sulla scrivania),
quella “nostra” ci interroga, capisce la situazione, apre la carta e ci indica
tutta una serie di luoghi interessanti (archeologici, storici ecc.) del sud-est
della Provenza: consiglia di fermarci per qualche giorno in un paese centrale
tra quei luoghi, dal quale potremo raggiungerli tutti comodamente in giornata,
senza la scocciatura di fare e disfare i bagagli. Ottimo: ci mostra gli
alberghi del nostro futuro hub, noi scegliamo, lei prenota, ci lascia una
ricevuta della avvenuta prenotazione, ci impacca di opuscoli dei luoghi
segnalati, ci ringrazia e ci saluta: tutto ovviamente gratis. Siamo come
storditi, in bilico tra la felicità dei ragazzini e l’amaro degli inevitabili
confronti.
Non vi tedierò con il diario di
quei giorni, fu una vacanza serena, paesaggi molto belli, cibo buono ma spesso
autoreferenziale, vini ovunque di livello. La Camargue, con il suo fascino
tutto particolare, sembrava di un altro secolo, poi ci fermammo qualche giorno
ad Avignone per dovere storico e perché c’era il Festival di Avignone, oltre
alla stupenda Residenza ed alla calca inverosimile, ricordo l’andirivieni blu
delle divise della Gendarmerie – capo pattuglia in testa ed i due gregari
dietro a triangolo - ragazzoni palestrati con pistola e manganello, che aravano
in continuazione la folla: in quei giorni non assistemmo che dico ad una rissa,
ma neppure ad un litigio.
Parecchie furono invece le
occasioni (personalissime) in cui masticai amaro, in molte visite trovai i siti
romani accuratamente censurati e divenuti “siti antichi” oppure, in altre
occasioni, descritti come monumenti della civiltà celtico-romana. Complessi
romani tra i più belli e completi del mondo (il teatro romano di Orange!)
ridotti ad espressione di una fantomatica civiltà celtico-romana! La notte
avevo gli incubi: e va bene, adeguiamoci, c’est la vie!
In quelle due settimane
percorremmo qualche migliaio di chilometri su strade di tutti i tipi,
provinciali, statali e tratti di autostrada, traffico snello e niente file ai
semafori perché quasi scomparsi, soppiantati da grandi rotatorie o da
sovrappassi. Molto simpatico il coro di clacson isterici che si levava alle
nostre spalle quando, poco avvezzi, esitavamo all’imbocco delle rotatorie o
rallentavamo all’interno, ci venne il vago sospetto che c’entrasse in qualche
modo la targa italiana: un amore reciproco.
Continuammo strabiliati a trovare
strade perfette, non una interruzione, non un cantiere, tanto che chiedemmo ai
locali come riuscissero ad avere strade perfette senza alcun cantiere in opera:
un ristoratore, che era anche il sindaco di un paese dove sostammo – e che ci
offrì un Bourboulenc da far resuscitare i morti - se ne uscì allibito con un
“Vous etes fous? Cantieri e lavori a Luglio e ad Agosto, con tutte le strade
piene di vacanzieri nostrani e di turisti?”
E ci spiegò che i grandi lavori di
manutenzione delle strade li programmavano in inverno e poi li facevano a
primavera, quando erano ancora aperte le scuole e non erano iniziate le ferie.
Per le piccole manutenzioni impreviste (la conseguenza di un incidente, ad
esempio) avevano una fitta rete di “pronto intervento” coordinati da centrali
operative e supportati dalla Stradale, che intervenivano subito lavorando anche
di notte, onde ristabilire la viabilità al più presto.
Memore dei problemi di competenze
che accadevano da noi dopo un incidente
(ricordavo il caos dopo il crollo di un cavalcavia in autostrada),
chiesi se da loro capitavano ritardi nei lavori per conflitti di competenze, e
mi beccai per la seconda volta uno sguardo di compassione, quello che noi
dedichiamo ai deboli di mente: “Ce n’est pas possible!” rispose sconcertato:
competenze e responsabilità dei singoli dipartimenti e degli Enti preposti
erano attribuite dalla notte dei tempi e previste proprio per evitare conflitti
e ritardi.
Dinanzi alla inoppugnabile logica delle
spiegazioni del sindaco, ed ai suoi sguardi sempre più sconcertati, ci
vergognavamo come ladri (ammesso che oggi i ladri…), e ovviamente nessuno di
noi osò far
cenno [F1] alle
nostre peripezie di pochi giorni prima.
Poi, come tutte le cose belle,
anche quella vacanza finì, ed era stata molto piacevole. Però non mi rimasero
solo ricordi piacevoli, e non parlo del loro voler ignorare il retaggio romano,
troppe cose avevano segnato confronti imbarazzanti. Vedete, nella maggior parte
dei miei viaggi non c’è molta possibilità di confronto, come fai ad imbastire
un confronto pratico tra l’Italia e la Namibia, o l’Uzbekistan? Con la Francia,
invece e purtroppo, il confronto fu immediato.
Lì avevo constatato, pur nei
limiti di una vacanza, che il mantra di una corretta amministrazione –
PROGRAMMA, ORGANIZZA, ATTUA, CONTROLLA - non era una formuletta vuota: sembrava
proprio che si potesse applicare. Oddìo, mica era Bengodi, certamente come
tutti avevano i loro guai che come turista non avevo colto, ma in qualche modo
avevo percepito nei fatti e, come dire, nell’atmosfera del quotidiano, che in
Francia c’era un organismo (lo Stato?) che operava con meccanismi ben oliati e
produceva fatti. Fatti, non programmi.
Cerco di spiegarmi meglio: da
mille piccole cose accadute in quei giorni avevo la sensazione che lì le cose
funzionassero (ragionevolmente bene) e la vita si svolgesse abbastanza
tranquillamente, e questo perché qualcuno individuava i problemi prima che
ingigantissero, li studiava e poi cercava il modo migliore di porvi rimedio. E
poi lo attuava. Così, niente di strabiliante.
Quello che mi pesa sul cuore è che
il ritorno fu sconfortante, la consueta follia del traffico, le condizioni
inenarrabili degli autogrill e delle piazzole di sosta, le tante cose che non
funzionavano, la constatazione evidente che noi non applichiamo i saggi
indirizzi della buona amministrazione, altrimenti i nostri telegiornali non
sarebbero costretti a riproporre da decenni (si, ho detto decenni), anno dopo
anno, i caotici ingorghi estivi causa lavori sulle nostre strade. Tanto per
fare un esempio. E mi fermo subito perché l’elenco non finirebbe più.
Tanti anni fa capitai vicino ad un
incidente appena accaduto, ed ho ancora vivido il ricordo della frase di un
addetto che suonava come un perfetto epitaffio delle nostre amministrazioni:
“Qui deve morì quarcuno dentr’an tombino, pe’ accòrgese che so’ mesi che se
stanno a frega’ i coperchi!”
In teoria noi abbiamo tutto per
benino, le Camere, le Regioni, i Comuni, i Sindacati e tutto quello che vi
pare, c’è pure ovviamente un Governo ed un Capo dello Stato, perché non
funzionano? Ma se, individuato un problema, è così facile programmare per tempo
un intervento e poi attuarlo, perché non riusciamo a farlo?
Ecco perché rievocare quel viaggio
mi ha riportato alla mente tanti ricordi sereni, e insieme tanta pena.
Cerco di consolarmi dicendomi che
anche nel buio più fitto, a guardar bene, si può intravvedere un barlume di
luce, ed io l’ho trovato nel recente indirizzo di mettere persone competenti
nelle posizioni decisionali: incredibile, e chi ci avrebbe mai pensato prima?
Io credevo veramente che si potesse prendere il primo che passava e fargli fare
che so, il Sindaco, o magari il Capo del Governo. Vuoi vedere che….
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