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mercoledì 9 settembre 2015

Libre Office, Italo Vignoli e …altre riflessioni ignoranti.

L’ultimo scritto di Italo Vignoli su “TechEconomy”  ed uno scambio abbastanza “incisivo” di Twitter con Paolo Vecchi mi costringon a fare qualche ulteriore precisazione sull’argomento Libre Office visto anche da chi non condivide quell’esperienza.
Solo per cominciare riporto una simpatica autopresentazione di Vignoli: “Lei è un predestinato: è nato il 12 agosto alle 12, come il PC IBM, e l'informatica diventerà la passione della sua vita".
Io essendo nato qualche anno prima sono coetaneo con Z1, il primo computer inventato nel 1938 dall’ing. Tedesco ZEUSE.

Ma entriamo nell’argomento specific: la difesa accorata di Vignoli per Libre Office.
Cercherò, per quanto possibile, di evitare il tono da predicatore del sig. Vignoli e, nei limiti della mia capacità di controllo, insulti e giudizi temerari.
Ho virgolettato alcune frasi che riporto parzialmente, chi vuole leggere tutto il testo lo trova qui.

“La vicenda della contro-migrazione a Office 365 del Comune di Pesaro, …..legata all’incompetenza e all’ignoranza – dal verbo ignorare – dei personaggi ….. che decidono di migrare al software libero perché non ha nessun costo di licenza, per cui pensano che si tratti di un’operazione a costo zero (e non di un progetto ……..(che) consente di passare dal software proprietario al software libero ….”.
Riconosco l’onestà intellettuale, a parte qualche caduta di stile, di Vignoli che dichiara chiaramente che l’operazione Libre Office non è a costo zero in quanto è un progetto di una certa complessità che deve essere guidato da un protocollo di Project Management ben identificato e da professionisti che lo guidino.

“Purtroppo, queste situazioni sono estremamente dannose per il software libero, perché vengono sfruttate a piene mani da Microsoft, che ha sbandierato il caso di Pesaro come se il capoluogo marchigiano fosse una metropoli di livello globale, e non una città male amministrata dove il denaro pubblico è stato sperperato (come dimostrano in modo inequivocabile le cifre esposte nella ricerca) perché tutto il processo di migrazione è stato gestito in modo sbagliato, dalla scelta del software, dato che OpenOffice versa in stato di abbandono dal 2011, alla gestione – meglio, non gestione – del processo.”
Un paio di commenti sul contenuto di queste frasi:
Ø  Sicuramente c’è stato sperpero quando da una situazione di funzionamento stabile si passati alla instabilità Open/Libre Office per seguire quella che mi sento di definire una moda.
Ø  Non sono le dimensioni, ma il fatto che una comunità piccola o grande abbia iniziato a ragionare può essere il fattore scatenante di un esame più accurato dei reali valori economici legati al software libero. A questo proposito vorrei ricordare la favola del fanciullino che, in mezzo ad una folla di cortigiani plaudenti, si alzò ed esclamò: “Ma il RE è nudo!”.
Ø  Sicuramente c’è stato spreco di denaro pubblico, ma nel voler sostituire qualcosa che funzionava ed era continuamente aggiornato da più di dieci anni con qualcosa che è nato ed è morto in pochi anni (Open Office). E quanti anni durerà il movimento Libre Office?

"L’Articolo 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale,…. mentre la legge dice…………)”.
L’art. 68 è estremamente dettagliato nella descrizione della casistica e delle regole che la PA deve seguire per l’acquisizione di software e sono pariteticamente elencati i criteri per la scelta di sw proprietario o libero.  Quindi qualsiasi richiamo ad obblighi contenuti da quell’articolo di legge sono quantomeno interpretazioni personali e come tali valgono.

“L’assenza di un costo di licenza del software open source, che viene confusa – per l’incompetenza e l’ignoranza di cui sopra – con la gratuità, mentre la comunità del software libero cerca di educare tutti gli interlocutori sul fatto che il software libero non è e non può essere gratuito, perché le competenze a esso associate – che danno origine a un prodotto significativamente superiore al software proprietario – vanno riconosciute e retribuite.”
Questo capoverso mostra all’inizio una certa onestà intellettuale quando parla del valore del lavoro che deve essere retribuito. E’ poi insultante parlando di incompetenza ed ignoranza quando uno dei cavalli di battaglia degli open-liberisti è proprio l’economicità delle loro soluzioni. Infine cade nell’affermazione gratuita quando parla di superiorità di un sw il cui sviluppo va al rimorchio delle novità introdotte dai sw proprietari più noti.

“La diffusione del software e del formato dei documenti, che viene trasformata in una standardizzazione “de facto”, rispetto alla quale il rispetto degli standard – sia nel software che nei formati – del software open source diventa un problema e non un vantaggio (come invece è nella realtà dei fatti, e come dimostra il governo inglese con i suoi eccellenti documenti.)”
Nel mondo molti standard de facto sono stati alla base di standard legali. Occorre poi fare una differenza fondamentale tra formati proprietari, che cioè è possibile leggere ESCLUSIVAMENTE con sw proprietari e formati aperti, dei quali cioè si conoscono le regole di formattazione e che possono essere usati NON SOLO con sw proprietari.
Per quanto riguarda le scelte inglesi, nulla questio, posso sollo dire che non conosco la realtà inglese e le “condizioni al contorno” che hanno portato a quella scelta. Quindi è quanto meno eccessivo e da provare il suo valore universale.

“Naturalmente, all’interno di queste speculazioni non c’è traccia del tema della sicurezza, dove nemmeno un’interpretazione capziosa riuscirebbe a nascondere i problemi sia del software sia del formato dei documenti, entrambi affetti da falle significative.”
 Questa è NATURALMENTE una affermazione dell’autore tutta da provare e statisticamente io mi fiderei di più con un qualcosa che ha milioni di utenti che con qualcosa che cerca  …di risalire la china.

E siccome questi attacchi da parte di Microsoft hanno iniziato a stancare, perché l’azienda è talmente brava a comunicare da rendere credibile anche quello che non è umanamente sostenibile, ritengo che sia giunto il momento di smascherare tutti i cialtroni nella pubblica amministrazione che con la loro incompetenza e la loro ignoranza costituiscono un terreno di coltura fertile per le elucubrazioni Microsoft usando come slogan #nonsolopesaro.
Quest’ultimo periodo lo trascrivo tutto perché è solo un insulto continuo al buongusto e cerca di far passare come VERITA’ RIVELATE tutta la serie di affermazioni che precedono e che ho tentato di chiarire …e spero di esserci riuscito!

Quindi, se siete a conoscenza di pubbliche amministrazioni che sono migrate al software libero senza applicare il protocollo di migrazione che è stato elaborato da The Document Foundation sulla base delle numerose esperienze di migrazione di successo completate in Europa, scrivete a info@libreitalia.it.”
Finale marketing. Se qualcuno vuole fare la migrazione rivolgetevi a noi che sappiamo rivendervi come prodotto originale lo schema di Project&Change Management Protocol che si trova, con tutto dettagli, in molti testi sull’argomento.

Conclusione.

Mi ero ripromesso di non tornare sull’argomento lasciando ad ognuno la libertà di maturare le sue idee e di formare i suoi convincimenti sulla base di quanto scritto in precedenza (qui e qui )
L’ultima nota di Italo Vignoli su TECHECONOMY mi ha quasi costretto a scrivere questo commento alle sue tesi non sempre condivisibili e, mi scuso con l’Autore, espresse talvolta con una certa acrimonia.
Infine una domanda: perché si dovrebbe passare a Libre Office visto che il cambiamento costa, e che la certezza di funzionamento (almeno nella mia esperienza) ha qualche problema? ….citando il Poeta “…ai posteri l’ardua sentenza!”.


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